63RD-77TH STEPS COMPIE UN ANNO: INTERVISTA A FABIO SANTACROCE

TESTO

IMMAGINI

 

 

63rd-77th STEPS ha compiuto un anno. L’originale “Art Project Staircase” ideato e diretto da Fabio Santacroce, ha acquisito nel corso della sua attività un’identità e una visibilità sempre più riconosciuta, portando avanti un programma fresco sviluppatosi su un duplice binario. Da un lato invitando giovani artisti internazionali (come Amalia Ulman, Renaud Jerez, Ilja Karilampi, per citarne alcuni) ad ideare interventi espositivi nel segmento di scala condominiale a cui il nome fa riferimento, all’ultimo piano di un palazzo nel Quartiere Libertà a Bari. Dall’altra, con una simultanea e diffusa attività off-site e on line documentata sul sito www.63rd77thsteps.com. Il prossimo intervento, con la venezuelana Sol Calero, “apre” il 4 febbraio. E se molte altre idee bollono in pentola, è tempo per fare con Santacroce un piccolo bilancio…

 

Per “festeggiare” il primo anno di attività, 63rd-77th STEPS è uscito ancora una volta dal suo spazio fisico, sconfinando negli spazi delle Fal a Bari con un’interessante collettiva, Always Brian (ti amo), appena conclusa. Ce ne puoi parlare?

Always Brian (ti amo) segna il primo anno di attività di 63rd-77th STEPS e riunisce i lavori di Rosa Ciano, Cecile B. Evans, Benjamin Asam Kellogg, Matthew Landry, Lucia Leuci, Yuri Pattison, Jasper Spicero, Amalia Ulman e il mio, distribuiti in tre spazi contigui. Il titolo è stato mutuato da un murales che campeggia in Corso Italia, una via di transito che conduce alla stazione centrale ma perennemente solitaria, dove sono ubicati i suggestivi locali delle Ferrovie Appulo Lucane. Qui abbiamo allestito un group show di tre giorni, reiterando quel format intrapreso con AFA nell’ambito del festival di riattivazione urbana promosso da Pop Hub Bari, in Via Manzoni (la stessa via dove è situato 63rd-77th STEPS).

 

La mostra era introdotta da uno strano testo, che ne costituisce forse la chiave di lettura…

 

Il testo di presentazione è una sorta di poesia “fratturata”, ipertestuale, che contiene status e commenti raccolti da vari social networks, scritte urbane, frammenti di conversazioni mixate a riflessioni personali e ricucite con la finalità di evocare la zona nella quale abbiamo operato (con la presenza della ferrovia, del cinema...) e quel mood di disillusione e asprezza tracciato dalle opere in mostra. Il testo e i lavori presentati sfumano ulteriormente quel confine tra spazio fisico e virtuale, al quale hai fatto riferimento precedentemente, citando nella parte finale il  Linguistic inquiry and word count, un software di analisi testuale progettato nel 2007 per “setacciare” e analizzare testi, rilevarne dimensioni linguistiche e temperature emotive dell’autore. Qualche anno fa è stato adottato da Facebook per l’analisi dei post testuali di circa 600.000 utenti, per uno studio controverso su effetti, manipolazioni e contagi emotivi tra users. Leggendo alcuni estratti di questa ricerca, mi son chiesto quali sviluppi avrebbe prodotto se l’oggetto di analisi fossero state le immagini, di cui i social network traboccano maggiormente. Le opere in mostra agiscono come frammenti di un testo immaginifico, esposti nella loro intima dimensione emotiva e linguistico-manipolatoria. Alcune contengono materiale testuale, altre sono identificate da titoli che assumono valenza di immagini loquaci.

 

In sintesi, come racconteresti l’esperienza in progress di 63rd-77th STEPS?

 

Mi piace pensare a 63rd-77th STEPS più come a un dispenser di produzioni visive che come a un luogo confinato, statico e tracciabile con una definizione spazio-temporale univoca. È ancorato localmente ma allineato e sintonizzato a livello globale, un dispositivo dinamico e “switchabile”, in cui la dimensione fisica e virtuale nella quale opera è costantemente commutata, così come quella artistica e curatoriale.

È un’esigenza, una necessità artistica spronata anche dalla volontà di attutire la perifericità del territorio nel quale opero, le sue disfunzioni, esaltandone inversamente i vantaggi e le potenzialità.

La prima fase della programmazione, partita a gennaio fino a giugno 2014, si è articolata con una serie di mostre personali allestite fisicamente sull’ultima rampa della scala condominiale del palazzo nel quale vivo (uno spazio residuale compreso tra il 63° e 77° gradino) che tenevano conto non solo della specificità/peculiarità dello spazio espositivo ma innescavano un dialogo efficace anche con il quartiere. Dopo la pausa estiva, si è ripartiti a settembre con la nuova programmazione che include progetti off-site rivolti all’esplorazione di luoghi topici presenti nell’area circostante e progetti on line intesi come ulteriore estensione della spazio fisico e simbolico. Tutto il lavoro viene “istantaneamente” riversato sul sito, strutturato e concepito con le stesse esigenze e prerogative di uno spazio espositivo.

 

Come ha risposto a queste sollecitazioni il mondo artistico pugliese?

 

Non mi sono mai posto il problema di accomodare la comunità locale con un format canonico e confortevole o di innescare improbabili processi educativi - “umanitari”. Bari ha tutti gli strumenti per comprendere e accogliere “nuove” esperienze espositive. Il sistema artistico pugliese è scandito dall’attività di fondazioni, svariati progetti curatoriali rivolti a pratiche di indagine socio-territoriale e gallerie commerciali. Quello che è sempre mancato è un project space (comunemente diffusi altrove) che introducesse nuovi processi di produzione, sperimentazione, circolazione e fruizione artistica. 63rd-77th STEPS risponde esattamente a questa necessità, proponendo un inventario di pratiche alle quali sono particolarmente interessato. Lo considero un importante contributo all’offerta artistica locale ma non solo, nonché una reazione viscerale al degrado del nostro tempo.

 

Veniamo ora alla prossima iniziativa: di cosa si tratta?

 

Il prossimo appuntamento è con Sol Calero, un’artista venezuelana che presenta una nuova declinazione della sua ricerca legata al ballo e al genere musicale Salsa, avviata con l’omonima mostra presso la galleria Gillmeier Rech a Berlino.

Che Che Colè, dal nome di una famosa canzone del cantante portoricano Hèctor Lavoe, è un progetto on line, visibile sulla pagina dedicata a partire dal 4 febbraio 2015. Sol Calero mette in scena una “parossistica” pista da ballo caraibica disseminata di tracce e documenti nascosti, utili per riflettere sulla complessità dello spazio sociale ed estetico dell’America Latina, attivando parallelamente un dialogo sottile con la dimensione fisica e metaforica di 63rd-77th STEPS.

ALWAYS BRIAN (ti amo)

Corso Italia 56, 60, 62 - Bari

SPAZIO 1

http://www.63rd77thsteps.com/alwaysBRIAN-exhibition.html

SPAZIO 2

http://www.63rd77thsteps.com/alwaysBRIAN-exhibition2.html

SPAZIO 3

http://www.63rd77thsteps.com/alwaysBRIAN-exhibition3.html

ph. Fabio Ingegno


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