INCASTRI IN BILICO: HIDETOSHI NAGASAWA A MOLFETTA.

Antonella Marino

TESTO

IMMAGINI

Sembrano sfidare le leggi della statica, instaurando enigmatici equilibri nello spazio, le tre grandi "sculture" che Hidetoshi Nagasawa ha installato in due ambienti del Torrione Passari, a Molfetta. Sono dieci anni che l'antico edificio comunale a strapiombo sul mare ospita, con la generosa regia critica di Giacomo Zaza e con pochi mezzi, interventi di artisti internazionali quasi sempre progettati ad hoc. Per festeggiare appunto il decimo compleanno Zaza, coadiuvato da Michela Casavola, ha inaugurato col supporto di Comune e Regione una doppia personale che schiera accanto all'artista giapponese il più giovane Luigi Presicce.

Con Molfetta Nagasawa si è relazionato direttamente, soggiornando sul posto e coinvolgendo maestranze locali. Enormi travi in legno e barre in ferro sono state recuperate da cantieri vicini e forgiate in loco, per andare a comporre incastri "magici" che reinterpretano la struttura architettonica amplificandone le suggestioni di contesto ambientale: un connubio tipico della quarantennale ricerca dell'artista - che vive a Milano dal '67 - tra la lezione delle neovanguardie d' Occidente e la cultura orientale della coesistenza degli opposti e delle integrazioni tra pieni e vuoti...

Partiamo dall'esperienza di Molfetta. Come si è svolto il tuo intervento?

Ho accettato l'invito di Giacomo Zaza, con cui avevo già lavorato a diverse mostre, circa un anno fa. Lui era a Berlino per cui, dopo avermi descritto il Torrione, mi aveva mandato delle foto e una pianta affinché mi facessi un'idea. Questo però a me non bastava per pensare un lavoro nuovo, anche perché a distanza non potevo certo calcolare le misure. Così un mese fa sono riuscito a fare un sopralluogo e di lì è nato il progetto delle tre installazioni.

Era importante per te solo il rapporto con la spazialità architettonica o ti sei relazionato ad altri aspetti del luogo?

Sicuramente è stato fondamentale conoscere il posto, che ha una sua forte connotazione: è infatti circondato dal mare, di cui si sente il rumore, si sente l'onda, si sente persino la luce... Interessante è stato anche conoscere la storia di questa struttura a cupola, che prima era una fortezza. Lo spazio però è bello già di per sé. E proprio competere con la sua bellezza, questa è stata la vera sfida per me!

Come pensi che queste suggestioni abbiano inciso sul lavoro finale?

Premetto: io lavoro rapportandomi ai luoghi, in un luogo diverso sarebbe venuto fuori un lavoro diverso. Qui ad esempio è molto particolare la pietra con cui sono fatti i palazzi o lo splendido Duomo. E' una pietra differente da quella più nota della vicina Trani: è più morbida, chiara ma calda, non proprio bianca. Questa è una specificità del paese, della sua bellezza. Io ho assorbito questi stimoli, insieme alla luce, all' aria, al mare, al suono. Non so spiegarlo razionalmente, ma se non fossi venuto il risultato sarebbe stato diverso.

Entriamo nei dettagli. Nella tholos hai calato dall'alto una spirale di ferro, intitolata evocativamente "Spirale nel cielo". Qual è il concept da cui sei partito per quest’opera e per le due installazioni all' ingresso?

Nel paesaggio locale ho percepito un' aura metafisica, che in qualche modo ho cercato di trasmettere. In questo caso sembra che la spirale scenda dal cielo ma invece sale, c'è come sempre nelle mie opere un'ambiguità. Nella sala grande ho invece raddoppiato lo spazio con una trave incastrata su due muri ed una trave con una leva che galleggia nel vuoto. Iui ho usato gli stessi teriali, legno.. ma in mquestQui ho usato gli stessi materiali, legno, trave, ma in modo opposto: uno che leva, l'altro incastrato.

Sono incastri che creano equilibri impossibili e che comunicano un senso di leggerezza, a dispetto delle grandi dimensioni. La prima scultura s'innesta tra due muri, perforando una sottile lastra metallica. L'altra, lunghissima, è sospesa a sostenere miracolosamente due grandi cubi in ferro…

Dietro a questi incastri c'è un preciso calcolo matematico, unito però a delle sensazioni. La trave sospesa ad esempio è di sette metri, doveva essere proprio di quella misura, ma ricorda anche un braccio alzato. Dove s'incrociano la trave orizzontale  e la trave verticale c'è un anello di ferro su cui si scaricano venti tonnellate di forza. Per ottenere un equilibrio bisogna calcolare il diametro di questa trave orizzontale, il peso del pavimento e del soffitto. Se i loro materiali fossero leggeri, la mia struttura non reggerebbe. Nella realizzazione utilizzo soprattutto la mia esperienza. In effetti mi interessa soprattutto suggerire una certa idea di leggerezza. L'oggetto però per sembrare leggero deve essere molto più pesante, per un equilibrio nei rapporti di gravità.

La mostra di Molfetta suggella una tua frequentazione di lunga data con la Puglia..

Come racconto sempre, sono arrivato in Italia dalla Cina in bicicletta 46 anni fa sbarcando la prima volta in Italia proprio in Puglia. Nel '91 fui invitato a fare una mostra a Casarano da Anna Cirignola, con cui mantengo un rapporto molto stretto. Da quella volta sono tornato spesso nel Salento, e ho ricevuto persino la cittadinanza onoraria di Casarano. Sono stato inoltre nel '94 a Polignano a Mare, dove realizzai una struttura sospesa sull’acqua di Calapaura, un “pensatoio”, per una edizione della rassegna "Ritorno al Mare" organizzata dalla galleria Zelig. E ho partecipato l'anno scorso ad un workshop su arte e natura curato sempre da Anna Cirignola con Adriana Polveroni nel salentino Parco del Torcito, nell'ambito di un progetto di residenze promosso dalla Regione Puglia. In quella occasione parteciparono quindici giovani artisti da tutt'Italia, che insieme a me presentarono dei progetti: mi piacerebbe molto che si riuscisse a trovare i mezzi per realizzarli!

Segui dunque con attenzione il lavoro dei giovani artisti?

Ora meno di un tempo, perché sono dieci anni che non insegno più alla NABA (la Nuova Accademia di Belle Arti) di Milano. I ragazzi però vengono ancora a trovarmi. In realtà i giovani che escono dall'Accademia con l'aspirazione di fare gli artisti sono tanti, poi molti spariscono. Tra i più bravi che ho seguito da vicino, segnalerei due "scultori": Michele Guido, che peraltro è di origini pugliesi, e Gianni Caravaggio.

Tra aprile e settembre scorso hai tenuto una mostra al Macro di Roma, in cui ti sei misurato con il difficile contesto della Sala Enel. In generale sembra però che tu abbia un rapporto un po' schivo con il sistema  dell'arte...

Si, ma soprattutto in Italia. In Giappone lavoro molto, e di recente ad esempio ho partecipato ad una mostra itinerante in cinque musei. Secondo me l'artista non deve dipendere troppo da questo meccanismo, non deve farsi condizionare in particolare dal circuito del mercato. Per queste ragioni non mi sono mai vincolato ad una galleria. Semmai di volta in volta ho fatto degli accordi per singole iniziative, mantenendo però sempre la libertà di scegliere!

Ormai credo te lo possa permettere, il tuo percorso è di consolidato spessore. Quali sono i prossimi progetti importanti?

Ho un grande lavoro pubblico a Tokio, un progetto di giardino. E' un'iniziativa avviata da poco, che s'inaugura il prossimo anno. C'è poi un invito al Museo di Cassino, uno spazio bellissimo che si è aperto da poco, diretto da Bruno Corà. La prima mostra è stata dedicata ad Enrico Castellani. La prossima, in aprile, sarà una mia personale.

E sul territorio pugliese?

Sto per partecipare, a gennaio, alla nuova edizione della Fòcara, una manifestazione tradizionale che si fa ogni anno a Novoli, in provincia di Lecce. Consiste nell'allestire un grande falò durante la festa in onore di Sant'Antonio, dando fuoco ad una struttura costruita con fascine di tralci di vite. In passato hanno già coinvolto degli artisti: due anni fa Mimmo Paladino, l'anno scorso Ugo Nespolo. Quest'anno l'hanno chiesto a me. La struttura ultimamente aveva la forma di torta a più piani. Paladino vi aveva inserito un cavallo di cartapesta, Nespolo numeri dello stesso materiale. Io però non voglio fare un intervento decorativo. Ho deciso pertanto di tornare alle origini, di recuperare cioè l'iniziale forma a cono, portandola ad una dimensione gigante di 24 x 20 m. con una scala a chiocciola che va verso il cielo, tutta in legno. Dopo l'incendio, di questa operazione rimarrà una documentazione fotografica e un' immagine serigrafica. Gli organizzatori vorrebbero che facessi anche una mostra, ma non sono molto convinto: stiamo ancora discutendo...


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