LIKE A LITTLE DISASTER, TRA ARTE E FILOSOFIA: INCONTRO CON GIUSEPPE PINTO

Antonella Marino

TESTO

IMMAGINI

Artista, curatore, prossimamente anche "gallerista"... Giuseppe Pinto ama sottrarsi a ruoli codificati e separati. Una dimensione relazionale è sempre stata presente nel suo lavoro: sin dagli esordi, sulla scena artistica pugliese nei primi anni del 2000, giocava infatti a connettere e sovrapporre identità multiple, sul filo ambiguo di realtà e finzione Successivamente Pinto ha affinato lo spessore concettuale della sua ricerca, con esperienze tra Milano e Londra. Per poi trovare un punto di sintesi nell' attività di Like a little Disaster, collettivo "provvisorio", mobile e itinerante con cui promuove "collaborazioni artistiche, esplorazioni e sperimentazioni in diversi contesti culturali e dispositivi di visualizzazione pubblica", aperte al coinvolgimento di altri soggetti su scala globale.

Tra i progetti più recenti, le due puntate di FATAMORGANA, rassegna di video arte d'area nordeuropea organizzata alla galleria Omphalos di Terlizzi (Ba) lo scorso anno. E, appena inaugurato sempre da Omphalos, Falling through the cracks, che indaga sui rapporti tra arte e filosofia intese entrambe come pratiche conoscitive, forme di sperimentazione che annettono  l'errore e il fallimento come scarti creativi. Un' operazione espositiva complessa e in progress, ideata con Valentina Dell’Aquila e in collaborazione con Bachi da setola, associazione culturale di Polignano a Mare  formata da giovani studiosi di filosofia, operante in Puglia ma collegata ad una rete internazionale.

Su questa formula che parte dal contesto locale senza localismi, Giuseppe Pinto sembra voler sempre più puntare: nel suo paese d' origine, Torre Santa Susanna in provincia di Brindisi, e' in procinto di aprire un nuovo spazio, L.A.L.D. SPACE, dove la mostra si sposterà dal 14 gennaio al 10 febbraio ...

Partiamo da quest' ultima iniziativa, presentata  in anteprima alla galleria Omphalos di Terlizzi. L'esposizione ruota intorno ad un video dell'artista inglese Phillip Warnell, Outlandish; Strange Foreign Body girato insieme al filosofo francese Jean Luc Nancy, che voi avete tradotto per la prima volta in italiano. Ci spieghi com'è nata e come si articola? Che differenza concettuale c’è  - se c’è - rispetto alle tue precedenti iniziative?

Falling through the cracks è nato da una concatenazione di avvenimenti; ho conosciuto Phillip Warnell circa un anno e mezzo fa e gli ho subito chiesto di poter presentare il suo lavoro Outlandish; Strange Foreign Body (2009), realizzato in collaborazione con Jean Luc Nancy. Volevo solo quel lavoro, più di tutto mi interessava il ruolo di Nancy, filosofo, teorico, curatore, e in questa occasione anche artista. Per qualche mese abbiamo lavorato ad un progetto che avrebbe dovuto inaugurare lo spazio LALD di Torre Santa Susanna, avevamo pensato di aprire la mostra solo dalle 13,30 alle 15.30, l’orario della controra. Nel frattempo Phillip mi ha generosamente proposto la traduzione del testo di Nancy in lingua italiana e io mi sono rivolto a Mariangela Pellegrini, giovane filosofa pugliese e ricercatrice presso l’università Sorbona di Parigi che, in collaborazione con gli autori, ha realizzato un lavoro straordinario. Lo scorso Ottobre abbiamo avuto l’opportunità di presentare il risultato del lavoro ad Art Verona Independents dove abbiamo partecipato con il nostro progetto APPARATO LOCOMOTORE, un camper galleria. Subito dopo Mariangela Pellegrini e Giuseppe Modugno – anche lui filosofo e pugliese - mi hanno invitato a presentare un idea-progetto per la loro rassegna “Conversazioni Filosofiche” che si tiene a Polignano, e così, dato che io ho un’innata attitudine a complicare le cose, l’idea-progetto si è trasformata in un’entità polimorfa che, oltre agli autori citati, ha coinvolto Valentina Dell’Aquila che mi ha aiutato ad individuare un gruppo di artisti alquanto eterogeneo: Nico Bellomo, Matteo Cremonesi, Bruno De Sario, Flatform, Hannu Karjalainen, Kensuke Koike, Davide Tuberga e Alejandro Vidal.

In tutti i miei progetti arte e filosofia sono stati sempre pensati come percorsi che continuamente si intrecciano e biforcano. Penso che l’arte e la filosofia non siano solo ambiti di sapienza o di egemonia speculativa anzi penso che esse siano pratiche, esercizi performativi costantemente difformi e rigenerati, il cui istinto primario dimora nello spostare incessantemente il fulcro identitario che le qualifica e classifica. E’ stupendo come entrambe identifichino sé stesse con qualcosa di sempre diverso. Questa è l’idea mentale e concettuale di questo progetto ed è applicabile al resto delle mie esperienze.

Da questa rassegna è nata una collaborazione con l'associazione "Bachi da setola". Su che piano secondo te si pone oggi una relazione possibile tra arte e filosofia? Ma in concreto, in quale modalità di arte e quale linea di pensiero filosofico vi riconoscete o intendete privilegiare?

Con i “Bachi” sono legato da amicizia personale e frequentazione assidua per questo tutto ha seguito il naturale corso delle cose, peraltro ho avuto la massima liberta d’azione. A mio parere Mariangela e Giuseppe curano un evento utopistico e rivoluzionario, ci si incontra e si parla “semplicemente” di filosofia.

Io sono tremendamente affascinato da come arte e filosofia aspirano ad essere perennemente differenti da sé stesse. Per afferrare il senso di questa dinamica “camuffante” non sono più sufficienti i classici strumenti di indagine, servono dispositivi che si pongono in una dimensione di trasversalità, che scivolano negli interstizi, negli incavi, “le cose crescono nel mezzo”  scriveva Deleuze.

Arte filosofia contemporanea possiedono la straordinaria capacità di analizzare le cose, riuscendo a non trascurare il loro lato opposto, quello che non sono o che ancora non sono, quello che non c’è più o quello che non c’è ancora. Dove lo sguardo comune vede distendersi fluido e senza ostacoli del tessuto continuo della normalità, artisti e filosofi intravedono fratture, capovolgimenti e lacerazioni. Nemmeno il concetto di opera aperta può essere più sufficiente; l’opera d’arte contemporanea non solo è aperta, ma è come una maschera auto-ribaltante che “incarna” una contraddizione vivente. La contraddizione è il cuore segreto delle cose diceva Kant L’ingranaggio che avvicina il pensiero filosofico alla pratica e al pensiero artistico è proprio l’idea di muoversi sempre in territori e pratiche contraddittorie. Nella contraddizione si condensa sempre un’immensa ricchezza, un immenso piacere.

Impegno curatoriale, riflessione teorica e organizzazione di progetti sono per te strettamente connessi.  Se dovessi scegliere una qualifica, come ti definiresti? E come s'inserisce nella tua pratica creativa la nascita del collettivo Like a Little Disaster ?

Per me le definizioni hanno una validità che non supera il quarto d’ora, poi penso che ogni volta che si tenta di definire qualcosa o qualcuno si definisce anche e contemporaneamente ciò che non è. Mi viene da pensare alle parole di Kosuth “l’arte è la definizione dell’arte”, mi piace molto il perenne e continuo tentativo dell’arte di auto definirsi in forme e linguaggi diversissimi.

Like a little disaster è un progetto collettivo nato nel 2012 da un’idea mia, di Cinzia Cagnetta - che ha messo a disposizione gli spazi della galleria Omphalos per la maggior parte dei progetti - e di Paolo Modugno - che si occupa della comunicazione e della grafica, realizza, in stretta collaborazione con gli artisti, le edizioni grafiche di LALD e tra qualche settimana lancerà – all’interno di www.likealittledisaster.com - un progetto online che coinvolgerà artisti internazionali che lavorano con il web.

Like a little disaster è stato inaugurato con FATAMORGANA, un progetto itinerante di ricognizione sulla video arte internazionale che nei primi due appuntamenti ha visto il coinvolgimento di dieci artisti provenienti dall’area del Nord Europa. In questa occasione abbiamo avuto il supporto e il sostegno di artisti come Knut Åsdam e Trine Lise Nedreaas che hanno generosamente posto le basi per il nostro archivio video, abbiamo intrapreso relazioni con l’istituzione svedese Konstnärsnämnden, e con l’organizzazione Local A, che è diventata nostra partner così come con il collettivo scandinavo Strandade con il quale realizzeremo un importante progetto la prossima estate.

Dopo l’esperienza di Independents a Verona io e Paolo abbiamo deciso di concretizzare il progetto in un’organizzazione no profit per l’arte contemporanea. Il gruppo che ruota intorno al nucleo centrale è in continuo mutamento; ora, per esempio, fanno parte del progetto tutti coloro che collaborano a Falling through the cracks, nessuno escluso, senza gerarchie. Mi piace pensare a LALD come una comunità che per ogni progetto assume forme e identità diverse. Mi torna nuovamente in mente Nancy quando scrive; “La comunità ci è data con l'essere e come l'essere, ben al di qua di tutti i nostri progetti, volontà e tentativi. In fondo, perderla ci è impossibile. (…) Noi non possiamo non com-parire. (…) La comunità è in un certo senso la resistenza stessa, la resistenza dell'immanenza.”.

Quale funzione e margini di azione ritieni dunque possa avere oggi l’arte e l'artista?

Mi interessano le idee che appaiono come un ammasso di resti e sedimentazioni, frammenti, sbozzi e tentativi, le opere che permettono allo spettatore di ricreare la propria esperienza umana ed estetica, gli artisti capaci di rinnovare la facoltà d’immaginare diversi modi di abitare il mondo e di innestare sensi. Mi piacerebbe che il labirintico percorso dell’arte fosse vissuto non come una storia compiuta ma come un processo definito in termini di relazione tra soggetti, forme, idee, spazi diversi, assomigliando più ad un centro di sperimentazione che ad un cumulo di certezze.

Mi affascina il continuo tentativo degli artisti di costruire mondi estetici personali, di stabilire necessità formali proprie, di fabbricarsi una nuova realtà. Gli artisti che stabiliscono il senso e l’utilità della propria ragion d’essere e la sopravvivenza del gesto artistico in un mondo dominato dai mass-social media nel quale la realtà pare non manifestarsi fuori dalla rappresentazione.

Stai per aprire uno spazio fisico nel tuo paese brindisino d'origine, un luogo artisticamente molto decentrato. Quali obiettivi e quali strategie ti sei dato, e che identità pensi possa assumere?

Potrei risponderti come Melville in Moby Dick “Era nativo di Rokovoko, un'isola lontanissima all'Ovest e al Sud. Non è segnata in nessuna carta: i luoghi veri non lo sono mai.”.

Lo spazio di Torre Santa Susanna rientra nell’innata aspirazione di LALD ad estendersi nomadicamente sul territorio pugliese. E’ stato abbastanza facile e normale pensare a casa mia come uno spazio aperto a progetti d’arte, in fondo ho sempre avuto tantissimi lavori, miei e degli artisti con cui ho collaborato, in un’installazione perennemente differente. Aprire al pubblico è stata una decisione naturalmente irresponsabile. Non ho alcun obbiettivo o strategia, non credo ci sarà la fila di visitatori dietro la porta ma io non devo rendicontare niente a nessuno, l’intero progetto è finanziato da me e Paolo, in questo caso abbiamo anche finanziato la realizzazione di alcune opere in mostra. 

Esperimenti come Like a little disaster sono distribuiti in ogni angolo del globo, siamo abituati a raggiungere i luoghi più remoti e assurdi per biennali, triennali e mostre varie, l’ultima edizione di Documenta di Kassel aveva un‘appendice a Kabul – su questo luogo, su Boetti e la sua “visione premonitrice” in queste questioni, ci sarebbe davvero tanto da dire.

Il discorso sui luoghi geografici può essere attribuibile anche ai luoghi fisici, quelli che accolgono le mostre; penso che non esista tipologia architettonica che non sia stata “toccata” dall’arte.

Il centro e la periferia sono semplicemente punti di vista, La nostra immagine di centro è, evidentemente, diversa da quella dell’immigrato somalo che sbarca a pochi chilometri da casa mia; Se il centro implica una rilevanza sociale, culturale ed economica, noi siamo la sua prima immagine di centro. Mio nipote Giammi a quindici anni interagisce già con una quantità di ragazzi sparsi in mezzo mondo, conoscono le loro stesse cose, ascoltano la stessa musica, vedono lo stesso cinema, usano la stessa tecnologia con risultati estetici paragonabili a quelli di Ryan Trecartin. Secondo il suo punto di vista anche Milano è una periferia. 

Tutto questo potrebbe rivelarsi un totale fallimento ma l’arte contemporanea, proprio come la filosofia è un inspiegabile cumulo di esperimenti falliti. Questo fatto andrebbe inteso in senso positivo, non come una chiusura, ma come un’apertura, come una condizione esperienziale e sperimentale con proprietà rizomatiche. 

L’altro giorno mentre installavo il lavoro di Warnell-Nancy nella stanza affianco mia madre preparava il pranzo; mi sono divertito a pensare al fatto che la stessa opera fosse mostrata contemporaneamente al MoMa di New York. Il discorso è sempre lo stesso, la verità e la finzione, giocare con i ruoli e le convenzioni, mescolare le certe e vedere cosa ne viene fuori.

Ultimamente in Puglia sono nate altre realtà fresche, associazioni no profit che operano con un respiro internazionale come Vessel o 63rd-77th Steps di Fabio Santacroce a Bari e Random a Lecce. Pensi di attivare collegamenti e scambi con qualcuna di esse? In generale qual è il tuo atteggiamento nei confronti del sistema artistico del territorio?

Sarebbe bellissimo inglobare e inglobarci in nuove comunità. La collaborazione e il nomadismo ci salveranno.

Con il nuovo L.A.L.D. SPACE, ma non solo, quali saranno i tuoi prossimi progetti?

Stiamo lavorando ad un’impegnativa installazione site specific dell’artista Daniela Corbascio con la quale inizieremo i festeggiamenti per i venti anni della casa galleria di Cinzia Cagnetta a Terlizzi. Negli spazi LALD di Torre presentiamo tre opere di Krišs Salmanis l’artista lettone del quale ho subito amato l’installazione del grande albero capovolto e “altalenante” all’ultima Biennale di Venezia, e una mostra con i lavori neoconcettuali dell’artista inglese Elisabeth S. Clarck.


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