MANIFESTA 10, ALL'ERMITAGE DI SAN PIETROBURGO

Antonella Marino

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Una 'biennale "classica". Tradendo in parte l' originaria vocazione sperimentale Manifesta - rassegna itinerante in Europa nata proprio, nel '96, per tastare il polso ogni biennio alle tendenze più vive del momento - per il suo decimo compleanno ha fatto affidamento a nomi consolidati e ad opere di generale pregnanza formale. Complice l' eccezionalità della location, l' Ermitage di San Pietroburgo, uno dei templi dell' arte globale che a sua volta festeggia i suoi primi 250 anni. Ma anche le tante difficoltà che questa scelta ha imposto, la necessità di andare in punta di piedi in un contesto delicato, oltre alla difficile situazione politica della Russia, con le restrizioni sul fronte della libertà di pensiero complicate dai più recenti scenari di guerra in Crimea prima, e ora in Ucraina.

Così il curatore, il critico tedesco di lungo corso Kaspar Koenig, pur senza rinunciare ad una scelta contestata da più parti (con defezioni per protesta di alcuni artisti), ha preferito andare sul sicuro, puntando su nomi di qualità in maggioranza noti. E ha evitato di fare una mostra a tesi, mantenendosi su suggestioni aperte, che ruotano sostanzialmente intorno a due tracce, non originalissime: la memoria del passato e le rovine della storia e del presente.

Il confronto con il luogo e le sue imponenti vicende storiche è ovviamente d' obbligo per i lavori che hanno avuto l' OK ad entrare nelle auliche stanze museali del Palazzo d'Inverno e del New Ermitage. E' una vera e propria caccia al tesoro, dove la ricerca è già in sé il premio. In un labirinto di ambienti spettacolari con ori, decori e capolavori da manuale di storia dell' arte concentrati lungo un percorso da sindrome di Stendhal permanente esteso per oltre 20 km (si è calcolato che per dare anche un solo sguardo veloce a tutti i reperti della collezione ci vorrebbero nove anni), tra testimonianze di un illustre passato storico che si materializzano idealmente ad ogni passo come nel visionario film "L' Arca russa" di Sokurov, ecco che finalmente l' incrocio col contemporaneo avviene. Quasi sempre in modo discreto, come per reverenziale pudore. E' il caso delle immagini fotografiche disseminate in più stanze da Yasumasa Morimura, nei panni di una pittrice che durante la II guerra mondiale documentò le pareti vuote del museo (ricreate cancellando digitalmente i dipinti dentro le cornici). O delle tavole "architettoniche" di Louise Bourgeois, in dialogo ravvicinato con dei disegni di Piranesi. O ancora del fotografico "Nudo che scende le scale" al femminile, omaggio di Gerard Richter a Duchamp.

Altre volte con integrazioni più invasive. Come la casetta in stile russo di Tatzu Nishi, che ingloba il lampadario in una sala; i blocchi antimonumentali in cemento sbrecciato di Lara Favaretto, una delle due uniche presenze italiane, che si infiltrano tra le statue greco-romane dell'Hercules Room. O la divertente damina rococò con cane composta da conchiglie giganti rosa, che Katharina Fritsch ha ambientato in un aristocratico boudoir. O ancora il riadattamento di un lavoro di Beuys del 1980: un grande scaffale con reperti commerciali della Germania dell'est collocati tra opere datate nel periodo di vita di Karl Marx, che invita a riflettere sulle dinamiche dei "valori economici".

Più agevole l'allestimento nella grande area che riunisce la parte più cospicua della rassegna: il General Staff Building nell' ala ovest della piazza dell' Ermitage, edificato come buona parte della città dall'architetto neoclassico italiano Carlo Rossi ai primi dell' 800 e dopo cinque anni di ristrutturazione riaperto ora al pubblico proprio con Manifesta. Un posto in cui la dialettica passato presente si ritrova fin dall' architettura, iniziando dalla monumentale rampa d' accesso. A fine scala, in una sorta di enorme  ballatoio, domina la gigantesca installazione del geniale artista svizzero Thomas Hirschorn, in qualche modo emblematica dell'intera rassegna. E' un altissimo palazzo nel palazzo ma sventrato come dopo un bombardamento, con detriti sparsi che si stendono lungo il pavimento. Dalle stanze sezionate s' intravedono opere costruttiviste; oltre ad indicare il fallimento di quella stagione rivoluzionaria, il senso della perdita assume però evidenti risvolti attuali. In parallelo con un'altra distruzione, anche di sogni giovanili, operata da Francis Alys andando a schiantare la sua vecchia Lada sovietica  dopo un viaggio da Bruxelles a San Pietroburgo contro un albero nei giardini del Palazzo d' Inverno, dove tuttora si trova.

Del resto i riferimenti a sfondo politico non mancano, ma sono mantenuti sempre sul filo dell'allusione velata. Si spiega così, ad esempio, la curiosa ricorrenza dell'elemento felino, chiaro riferimento alle innominabili Pussy Riot. A partire dal tunnel dedicato ai gatti del Museo da Erik Van Lieshout, che per tre mesi ha vissuto con loro nei sotterranei, rievocando il ruolo importante che avevano avuto qui nell'era zarista. Un gatto passeggia inoltre nello studio di Bruce Nauman, in un video moltiplicato su più schermi. Mentre non un gatto ma in sua assenza un topo, il mitico Jerry compagno di Tom nei celebri cartoon, è protagonista di una divertente ambientazione dello scomparso Juan Munoz. 

Evocata da più parti è poi la questione omosessuale, oggetto come si sa di pesanti veti legislativi. La proposta più efficace e poetica a riguardo è quella di Marlene Dumas: con la delicatezza apparente dei suoi acquerelli liquidi, espone una sequenza di ritratti dedicati a uomini che hanno dato un contributo importante alla cultura mondiale, anche russa (tra cui il notissimo Nurejev). Ma che, apprendiamo da sintetiche didascalie, erano tutti gay... Cosi come l' artista sanpietroburghese Vladislav Mamyshev - Monroe, morto quarantatreenne lo scorso anno, che nei panni rubati di Marilyn Monroe portava avanti piccole azioni di disturbo (a lui è dedicata in contemporanea una personale nel non lontano Novy Museum).

La ricerca di fili conduttori è però destinata a disperdersi nella parata delle singole proposte, sempre comunque di buon livello e con un valore aggiunto non da poco: la sorpresa di incontri ravvicinati ora con un "Quadrato nero su sfondo bianco" di Malevic; ora addirittura con l' eccezionale collezione di 37 Matisse dell' Ermitage, spostati in permanenza in questa sede.

Nulla però in questo contesto stride, nulla urla, turba, contrasta. Tutto è tenuto sotto controllo, è in qualche modo pacificato. E non basta cercare altri spiragli freschi nelle tante iniziative collaterali sparse in città, che spesso sono legate ad un calendario effimero di incontri (alcuni dichiaratamente alternativi, in appartamenti utilizzati quale "resistenza domestica"). E che, se stanziali, privilegiano come è giusto che sia la scena artistica cittadina. Ad esempio nel labirinto dell'Ex Scuola militare nell'Isola Vasilievskij, tra il succedersi di installazioni di artisti russi, viene offerto uno sguardo su autori esordienti residenti in loco. Mentre alla Rizzordi Art Foundation, spazio privato in uno sgarrupato ex edificio industriale dall'identità ancora in divenire, la rassegna "Magnetic Fields" presenta  una mappatura dei gruppi artistici, tendenza a San Pietroburgo molto gettonata forse anche per l'esigenza di organizzarsi in spazi  quasi clandestini.

Convincente, tra le partecipazioni ufficiali, è d'altra parte l'operazione relazionale della nostra Paola Pivi: che nel vitale Centro d'arte contemporanea Sergey Kuryokhin ha allestito una sala registrazione con vari strumenti a disposizione del pubblico per cimentarsi a comporre "suonando con le scimmie", ovvero integrando i suoni campionati di animali. Un tentativo, dai primi riscontri riuscito, di coinvolgere anche gli abitanti  e  rompere quel sentimento di passività diffusa, se non proprio di rassegnazione, che sembra connotare in questo frangente storico la popolazione. Un clima piatto a cui questa Manifesta, suo malgrado, pare quasi volersi adeguare. Amplificando paradossalmente un dato rilevato da Koenig stesso a proposito della mancanza in Russia di "società civile": senza "conflitto", qui come altrove, non è possibile alcun cambiamento... 


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