VETTOR PISANI SECONDO MIMMA PISANI

Antonella Marino

TESTO

IMMAGINI

Una grande retrospettiva articolata in due sedi, al Museo Madre di Napoli e al Teatro Margherita di Bari. La doppia mostra "Eroica e Antieroica" dedicata a Vettor Pisani - a cura di Andrea Viliani, Eugenio Viola e Laura Cherubini, in corso fino al 30 marzo 2014 - ha il merito di aver avviato un serio lavoro di ricostruzione critica su un artista molto complesso e controverso ( nato a Bari nel 1936 e morto suicida a Roma nel 2011), finora forse poco conosciuto e di certo non compreso a pieno. Lo fa puntando a Napoli sul rigore filologico, scandito nelle diverse sale sulle tematiche fondative della sua ricerca, a partire dagli anni Sessanta: approfondendo cioè un repertorio visionario e simbolico popolato da croci e semicroci, Sfingi e Piramidi, animali vivi e "Isole dei morti"; con risvolti esoterici e trasmutazioni alchemiche ispirati da una personale tetralogia artistica con Marcel Duchamp (l'aria), Joseph Beuys (la terra), Ives Klein (il fuoco), e lui stesso (l'acqua).

E giocando invece a Bari su una più libera sensibilità teatrale, in linea con l'identità del luogo, un teatro sull'acqua che richiama il suo ideale progetto di RC Theatrum, e che Vettor Pisani certo avrebbe gradito.

Ad esserne convinta è in primis la vedova, Mimma Pisani, sua sodale e compagna fin dagli esordi baresi: gratificata certo da questo importante riconoscimento postumo, che lenisce però solo in parte l' amarezza per l'isolamento dal circuito artistico che conta subito dall'artista in vita...

Partiamo dal rapporto di Vettor con Bari. Un rapporto all'apparenza complicato, visto che nella sua biografia diceva di essere nato ad Ischia e dopo il '70 in Puglia non ha più fatto mostre....

Va detto innanzitutto che Vettor aveva una doppia origine: il padre infatti era di Ischia, la madre di Bari. A Bari, dove noi ci siamo incontrati, lui ha avuto importanti esperienze e un gruppo di amici notevoli come Gianni Leone, Michele Mirabella, Carlo Garzia... Vettor ha lavorato molto a Bari, e con grande intensità. Nei primi tempi aveva anche instaurato un rapporto privilegiato con Marilena Bonomo. Poi tutto si è spezzato, anche perché Bari ha preso una svolta minimalista e americaneggiante. Vettor è un artista italiano, legato molto alla grande arte italiana, da Michelangelo al Manierismo e al Barocco. Quindi non ha mai subito una grande influenza americana. Lo spazio per lui era circoscritto, la sua idea di spazio era sempre simbolica. Non ha mai pensato allo spazio in senso americano, ai grandi spazi da lasciare intonsi, liberi, dove fare qualcosa di leggermente sociologico. Vettor è stato un artista europeo. Bari è una città mediterranea, ma ha rinnegato queste sue origini.

Quindi non è esatto dire che Vettor non ha amato Bari. Semmai è vero il contrario, Bari non ha amato Vettor... A Bari, peraltro, lui ha posto le radici del suo lavoro, il Teatro, con la fondazione della compagnia La Gironda, e il Museo, con la gestione della galleria La Metopa. A Bari nel 1970 ha fatto inoltre una mostra importante -  al Castello Svevo, per la seconda e dizione del Premio Pascali - dove c'erano già tutti gli elementi della sua ricerca: la "Venere di Cioccolato" con il bollitore di cioccolato duchampiano e un appendino col frac, stampo maschile espressione dell'eros celibe; le simboliche uova; la grande pedana con le tartarughe. Uno dei primi miracoli che si richiedeva dalle opere d'arte di quel periodo è stato investire il movimento fisico degli animali: criceti lenti, tartarughe veloci...In questi lavori Vettor aveva già messo in nuce tutta la sua poetica.

Nel cataloghino della mostra del 1970 tutte le opere che hai citato e altre ancora erano tutte datate fra il 1965 e il 1968 – meno la tartaruga Malinconica Pot e i “tre topi lentissimi” datati 1970.  Questo vuol dire che erano state già concepite a Bari, e che a quegli anni Sessanta risale anche la sua “lettura critica” su Duchamp?  O è uno dei suoi giochi con le date, come l’anno di nascita che allora era segnato 1938?

Vettor si è trovato naturalmente a confrontarsi con certi temi duchampiani perchè il mito della Grande Madre mediterranea da cui nasce il Grande Vetro di Duchamp, la pregnanza dell'Eros censurato dal pensiero cattolico, la materia dell'arte che si trasformava sotto la potenza della mente e non di un fare artigianale, il bisogno di compiere la metamorfosi per uscire con il sogno dalla banalità, il gioco mimetico con il mondo animale, erano molto presenti nel suo pensiero di origine. Le sue opere sono state immaginate a Bari e realizzate a Roma nel '68 con l'incontro esperenziale dell'opera di Marcel Duchamp. Questo incontro ha prodotto, con un' urgenza della volontà e dell'anima, i primi incredibili e potenti lavori di Vettor Pisani.

In quanto alle date, può sembrare una bizzaria la tendenza di Vettor a giocare con la propria vita, andare sul filo del rasoio della trasgressione, cambiare le date; ma la dottrina numerologica è stata molto importante nel suo lavoro. Attraverso la quadratura del cerchio, la squadra, il compasso, l'aritmetica dell'iniziato, l'uno che genera la triade, il delta, il quadrilungo, i colori, l'ara, gli spazi, gli scalini, la pietra cubica, la pietra filosofale, la tavola di Arsenico, il quadrato magico ed altro, si definisce meglio lo spazio del  genio.

L' evocazione della mostra del '70 è uno dei fulcri della rassegna organizzata al Teatro Margherita, dove è stata ricostruita l'installazione/performance "Maliconica Pot, la tartaruga più veloce del mondo".

Nella mostra al Castello quell'opera era posta all'esterno. Il lavoro originario comprendeva anche degli scorrevolini a cui erano legati dei topolini. La cavie, velocissime, venivano frenate. Mentre una tartaruga, di per sé lenta e dunque melanconica, era legata ad una macchinina guidata da un telecomando a distanza e ogni tanto veniva fatta andare molto veloce. Il suo obiettivo era infatti cambiare il movimento, velocizzando ciò che era lento o rallentando ciò che era veloce.

Le cavie potevano percorrere una tratto compreso tra una ciotola d'acqua e un pezzo di pane: un po’ come il destino dell'uomo, che deve fare un percorso limitato, secondo i voleri del potere. Vettor era infatti un artista molto ideologico. che è sempre stato dalla parte dei deboli. Il potere non ama né paradosso nè scandali, perché tutto deve tacere e deve seguire un percorso prestabilito. Vettor non è stato bizzarro, è stato semplicemente politico. "Melanconica Pot" rappresentava l'umanità, fragile, costretta ad andare dall'acqua al pane e dal pane all'acqua, perché quello era il suo destino.... La reazione è stata però negativa. Diciamo che Bari ha rifiutato il paradosso e lo scandalo, perché è una città pulitina e borghesina, senza ideali.

Questa interessante segnalazione di Vettor come artista “politico” ha qualcosa a che fare con la sua formazione intellettuale nel gruppo della Gironda, che era fortemente orientato ad una sinistra “oltre il Pci”? Per esempio Pietro Marino sulla Gazzetta del Mezzogiorno ha citato una sua scenografia per un lavoro di Brecht (pare nel 1965) e la sua presenza alla prima rappresentazione a Bari del Living Theatre nel 1966 (con i Misteryes) organizzata proprio dalla Gironda…

Senz'altro in questa città Vettor incontrò un gruppo di giovani irrequieti, speranzosi, con ideologie che arrivavano da altre nazioni dell' Europa, impostando così la loro ricerca su una posizione di lotta, ma in senso culturale.

 

Un altro lavoro ripresentato è il "Canestro con uova", che è in questo caso quello originale, appartenente alla Collezione Bonomo...

Il  lavoro sulle uova, che s'ispirava all' Histoire de l' oeil di Bataille era in realtà più articolato. C'erano infatti delle bacinelle metalliche, contenenti diverse tipologie di uovo:  l'uovo intero, l'uovo aperto, l'uovo di cioccolata...Io le  avrei riproposte. In mostra non c' è invece lo "Scorrevole", prima versione di una performance, documentata al Madre di Napoli, che solo in quell'occasione vide Vettor rappresentare la macchina della leggerezza e della volatilità, inserendosi col proprio corpo nella struttura.

Lo "Scorrevole" ha visto diverse versioni già nel 1970 e dopo (almeno sino al 1975) sempre con performer femminili. Non sembrano scelte casuali o d’occasione. Puoi dare qualche chiarimento sulla genesi di questo lavoro capitale e sulle sue varianti?

Per la spiegazione dello "Scorrevole", che ha visto si diverse interpretazioni, vorrei usare le parole di Octavio Paz, che spiegano molto bene il "Grande Vetro" di Duchamp a cui lo "Scorrevole" si ispira :" 'Il Grande Vetro' è il dipinto del denudamento di una Sposa; lo streap tease è uno spettacolo, una cerimonia, un fenomeno fisiologico e psicologico, un' operazione meccanica, un processo fisico-chimico, un esperimento gotico e spirituale tenuto insieme e regolato dalla meta-ironia. Music hall, chiesa, stanza di una ragazza solitaria, laboratorio, fabbrica di gas ed esplosivi, radura di un bosco, ai piedi di una cascata, teatro spirituale".

Gli altri due asset tematici messi in rilievo nel Margherita, che à un teatro costruito sul mare, sono appunto il teatro e l'acqua, Che valore avevano questi due elementi per Vettor Pisani?

Nella sua arte non c'è solo il bisogno di fare merce. La sua arte era spinta da sentimenti ideologici e di movimento, sia politici che sul paradosso delle cose. Di qui viene fuori il teatro. I suoi oggetti sono già teatrali. Non sono meri oggetti di arredo, ma hanno qualcosa che li fa pulsare. Abbiamo fatto moltissime performance insieme e ogni cosa che lui faceva era allestimento. C'è un'invasione dello spazio, sempre in maniera misurata, europea, in cui si aggiravano dei personaggi.

Lui aveva chiamato il suo teatro RC Theatrum, teatro Rosacroce. Non in riferimento però ad una simbologia occulta, come è stato scritto, ma come rosa e croce  La croce indica le due direzioni, Oriente Occidente, Europa e Asia. E rimanda al dolore del mondo, con tutte le simbologie connesse. Ma su di essa viene sistemata la rosa, che è l'elemento femminile, della dolcezza, della resurrezione... Vettor amava molto questa simbologia, perchè in essa c'è il dolore, ma c'è anche una rinascita. E' stato inoltre uno dei pochi a reintrodurre la presenza femminile, la Sposa, la Sfinge, fortemente presenti nella storia dell'arte e nella letteratura.

Anche l'acqua è fondamentale: io avevo suggerito di esporre a Bari una croce direttamente nel mare, che era un suo progetto. L' acqua è l'elemento fluido, rappresenta il tempo...Tutte le immagini di Vettor sono fluide e compare spesso un battello fantasma accanto a cui si ferma la barchetta dei morti di Boecklin. Spesso si immaginava nell'aldilà, dove ormai si era già emarginato.

E' difficile naturalmente sintetizzare la poetica di Vettor, che è complessa, stratificata e ricchissima di riferimenti, come ben emerge dalla retrospettiva al Museo Madre di Napoli, a cui tu hai collaborato.. Ma qual' è il filo conduttore che l'attraversa?

Direi che è un lavoro che nasce da una grande generosità, da un grande sentimento della speranza. Vettor voleva stupire, come ogni opera d'arte grande. Nello stesso tempo la ricerca nasceva anche da una profonda malinconia, che è poi il dato di fondo per creare. Tra malinconia, stupore e generosità si muove tutto il suo percorso. Tuttavia si è fatto finta di non capirlo, perché il suo  non era un lavoro "americano", di taglio minimalista. Le sue simbologie sono presenti nel mondo dell'arte, le troviamo in tutti i grandi artisti fino al Surrealismo. Vettor si affidava al Simbolismo dell'arte, perché è vissuto tra Museo e ribellione ideologica al potere. D'altra parte non era massone o altro. E' stato solo profondamente cattolico, e questo ha favorito la sua disgrazia. Il mondo ebraico ad esempio non l'ha accolto. Anche se ha lavorato molto sulla shoah e sull'ebraismo, la sua  complessità non è stata compresa, perché l'arte in Italia, voluta dalla grandi holdings capitalistiche mondiali, tendeva ad essere semplice e giocherellona. Lui invece era uno studioso pazzesco, si è dedicato molto ad esempio alla conoscenza di Duchamp e Beuys. Tuttavia non è stato compreso a sufficienza. Questa è la storia drammatica di Vettor, di cui il suicidio è stato l'atto finale.

La morte è una componente spesso evocata nelle sue opere, molti ne hanno dato una lettura profetica...

Io ce l'ho molto con questo immondezzaio massmediologico. Sul tema della morte esiste un altro linguaggio, simbolico e poetico. Basta sfogliare un libro di Franco Rella, per trovare un elenco di autori appassionati che hanno scritto sull' argomento.

In realtà, è bene che si sappia che Vettor si è ucciso perché profondamente deluso dal sistema dell'arte: è stato proprio il sistema a favorire la sua fine tragica.

L'attrice Gaia Riposati ha magnificamente recitato  la mia "In memoria",  serie di poesie scritte subito dopo la sua morte. C'è un verso che illumina senza alcun dubbio queste affermazioni precedenti:

"Artista dal Sistema sistemato

dal Sistema, sì, sì, sistemato "...


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