21.01.2011

FabricaFluxus e la Underground Zone

Enrica Dardes

TESTO

IMMAGINI

 
Per inaugurare il tour delle gallerie baresi la redazione del Premio LUM ha deciso di sondare una realtà giovane come quella di FabricaFluxus in occasione della rassegna Underground Zone, una riscoperta e una rivisitazione in chiave contemporanea del punk anni Settanta a cura di Antonella Giannone e Claudia Attimonelli. Un’iniziativa della durata di un mese che non mira a una sterile retrospettiva dai toni nostalgici, ma offre uno sguardo critico verso una realtà d’Oltreoceano che ha proposto un nuovo stile e un nuovo modo di vivere sotto “una patina edonista e autolesionista”, come l’ha descritta la stessa Claudia Attimonelli nel libro/catalogo Underground zone. Dandy, Punk, Beautiful People. A fare da padrona di casa e da Cicerone durante la nostra incursione in questa galleria dai toni chiari, essenziali, lineari e al contempo accoglienti, Roberta Fiorito, una delle fondatrici della galleria nonché “ape regina della faccenda”.
 
Cos’è FabricaFluxus?
 
Siamo in quattro: io, Roberta Fiorito – “l’ape regina della faccenda” – Nicola Murri, Francesco Picciotti ed Emma Capruzzi. Tutti e quattro abbiamo professionalità diverse anche se affini. Io ho studiato a Bologna Storia dell’arte, ho fatto dieci anni di restauro, poi ho lasciato tutto e mi sono dedicata all’arte contemporanea, un interesse che ho sempre coltivato in parallelo. Nel  momento in cui sono tornata a Bari ho deciso di provare a metter su un mini collettivo di persone e vedere se riuscivamo a portare in città qualcosa di interessante. Emma era appena tornata da Milano dopo un percorso in Scienze della Comunicazione e grafica. Nicola abitava a Bari e anche lui si occupa di grafica e web design. Infatti i co-curatori della galleria siamo Nicola e io e ci affianchiamo di volta in volta ad altre persone. Francesco Picciotti, che proviene dal liceo artistico e l’Accademia, è un po’ il tuttofare.
L’idea è nata dalla volontà di creare un circuito di arte contemporanea a Bari, che sicuramente non è una città riconosciuta per avere questa grande tradizione. O meglio, sicuramente c’è un collezionismo che da quasi cinquant’anni si interessa attivamente al panorama dell’arte contemporanea – non a caso si è inaugurata la mostra dei collezionisti baresi (il Giardino segreto ndr) – però sul territorio non c’è mai stata una diffusione capillare. Non è qualcosa che viene sentita come una “necessità”. Abbiamo iniziato più o meno un anno fa e la cosa che ci interessava era sicuramente sondare il territorio rispetto alla condizione degli artisti locali e andare a cercare nuove leve. Certamente la nostra prerogativa iniziale era quella di ospitare qui artisti provenienti da fuori.
 
La collocazione geografica della galleria è voluta?
 
È stata una casualità in realtà, però è stata anche fortemente voluta. Trovo Madonella un quartiere interessante dal punto di vista creativo, è innanzitutto una dimensione cosmopolita, c’è gente di ogni dove, c’è ancora una dimensione di botteghe, non è il centro commerciale molto caotico. Madonella ha un’identità forte e si sta progressivamente caratterizzando come quartiere dell’arte e degli artisti.
 
Nell’ambito di questa iniziativa di ampio respiro ci sono una serie di situazioni più episodiche che sono legate ad un fil rouge che le collega o più semplicemente a degli spunti di riflessione del momento?
 
Abbiamo ospitato artisti comunque molto giovani, sotto i 37 anni più o meno, quindi già si parla di arte “iper” contemporanea. La cosa che ci ha mosso il più delle volte nelle scelte è stato andare a vedere gli artisti e le atmosfere culturali più contaminate. La contaminazione di generi e di arti è sicuramente il filo rosso. Per esempio abbiamo ospitato Arrington De Dionyso, il cantante degli Old Time Religion, un gruppo americano che ha avuto un gran seguito soprattutto alla fine degli anni Novanta e all’inizio del 2000, e lui, che è il leader di questo gruppo, ha sempre accompagnato tutta la sua attività musicale a una grafica costante. Quindi è interessante andare a vedere come anche nella produzione visiva ritornino tutti i temi che lui ha musicalmente sperimentato. Quando è venuto da noi ha eseguito una performance al contempo musicale e pittorica. Oppure Ester Grossi lavora sulla bidimensionalità, produce tele, però è fortissima la contaminazione che ha col cinema e con la musica.
Quindi scegliamo persone che hanno nel loro percorso artistico l’elemento del mix di arti. Per altri versi abbiamo scelto anche seguendo un po’ i nostri gusti, ma quello è secondario, però penso naturale.
Ci interessano poi mezzi espressivi di vario genere. Abbiamo avuto performer, video artisti, fotografi, anche esponenti del mondo dell’illustrazione, che è sempre stato considerato di serie B, il fumetto d’autore e questo genere di atmosfera artistica. Io le considero molto più contemporanee di altro. Nel mondo moderno l’elemento artistico si può trovare ovunque, per questo lo ricerchiamo anche nelle forme meno “canonicamente” artistiche: quindi anche nel design. Nel microshop che cerchiamo di tenere sempre vivo c’è una ricerca attenta nella produzione seriale che, però, resta comunque limitata essendo produzione artistica di design. In questo modo si scoprono una serie di mondi molto interessanti. C’è la volontà di portare a Bari qualcosa di innovativo e da questo punto di vista penso siamo molto pioneristici. Negli ultimi tempi stanno nascendo anche una serie di altre realtà attente all’arte contemporanea e questo è un movimento a catena che ci si augura continui. La collaborazione fra organizzazioni private è necessaria per creare quella rete che tanto viene decantata e concretizzarla. Per questo è necessario porre fine a quel particolarismo radicato, figlio di una mentalità chiusa, perché non porta alla condivisione e allo scambio di idee e non è, dunque, affatto funzionale. Per esempio, a me fa piacere sapere che a dicembre si è inaugurata ilowart, una temporary gallery, e speriamo che ci siano altre iniziative a breve.
 
 
C’è un’idea di fare un censimento degli artisti, una mappatura?
 
Cerchiamo di portare qui artisti che vengono da fuori e per la promozione del nostro territorio portiamo gli artisti di Bari fuori. Abbiamo adesso vinto il bando di “Principi Attivi” e il nostro progetto è proprio quello di fare rete: collaboriamo già da tempo con gallerie di Roma, Milano, Torino, Bologna e Berlino. Reputo la Puglia una regione in gran fermento nonostante la situazione nazionale; la nostra idea è di fare una sorta di concorso, strutturato come una chiamata aperta, per artisti emergenti che abbiano le idee chiare in merito al proprio lavoro e che vogliano fare questo di mestiere. Scegliere cinque o sei artisti, farli lavorare su un tema scelto da noi e organizzare un tour per queste gallerie che abbiamo individuato. Le gallerie che ci ospitano sono invitate a far dialogare questi artisti con quelli proposti da loro. Ogni evento dev’essere così una collettiva di una decina di artisti. L’ultima tappa sarà Bari e ospiterà tutti i partecipanti in una location pubblica ampia. Vorremmo organizzare una specie di festival con dei workshop tenuti da artisti e coinvolgendo anche ragazzi dell’accademia, per far incrociare e lavorare diverse energie. Tra l’altro a livello curatoriale l’idea è di scegliere cinque o sei artisti pugliesi e altrettanti giovani curatori pugliesi: affidare a ogni curatore un artista, con una curatela generale che sarà, penso, mia, di Nicola e di Francesco Paolo del Re. La durata dovrebbe essere di un anno, fino a gennaio/febbraio 2012, ma questo è ancora da definirsi.
Uno degli artisti che curiamo del territorio è un artista molto giovane, si chiama Michele Mongelli, in arte Red Zdreus, ha da poco partecipato a una collettiva presso una galleria in provincia di Urbino. Siamo andati lì insieme: doversi relazionare con curatori estranei sicuramente gli è servito a non rapportarsi sempre e solo con la professoressa dell’Accademia che lo conosce. Infatti, è tornato spaesato.
 
Venerdì 14 gennaio, è stata inaugurata Underground Zone. Una sorta di iniziativa in più puntate…
 
Esatto. Si tratta di un mese di appuntamenti. Il progetto centrale verte sull’esposizione delle foto di Paul Zone. Quello che ci ha immediatamente colpito è stata la spontaneità delle sue foto. Nei primi anni Settanta, da studente di fotografia, si è trovato a frequentare una serie di locali culto della NY di quel tempo, come il Max Kansas City e il CBGB, e lì ha fatto scatti con un impatto fortemente amatoriale, ma nonostante ciò è ugualmente riuscito a ritrarre fedelmente quell’epoca nello stesso momento in cui si stava costruendo. Quello che colpisce delle foto è questa sensazione di momento rubato, son quasi tutte istantanee, e gran parte dei personaggi che ha fotografato poi son diventate icone: da Dabbie Harry, la cantante dei Blondie, a una Patty Smith giovanissima ai Ramones. Tutti gli eventi che seguono l’inaugurazione della mostra, che resterà qui fino a metà febbraio, mirano a sondare qual è il concetto di underground, perché nelle foto, divise in macro aree (ritratti, pose, scene e live), così come in tutto il periodo underground e anni Settanta, ci sono una serie di spunti che verranno poi ripresi nella moda.
Venerdì 28 gennaio verrà presentato il libro che le due curatrici hanno pubblicato. Si tratta di due saggi con l’introduzione di Luca De Gennaro, che è il direttore artistico di MTv Italia, corredati dalle immagini di Paul Zone. Il libro è pubblicato da una casa editrice barese (Caratteri Mobili).
Venerdì 4 febbraio presso l’atelier 1900 ci sarà una sfilata con una mostra fotografica di due giovani fotografi che hanno realizzato e ricercato abiti poi riadattati.
In seguito, venerdì 11, come chiusura della mostra, da Leccisi collection, un negozio di design e accessori, verrà presentata la collezione di una designer milanese che ha recuperato tutti gli elementi tipici del punk, dalla spilla da balia alla borchia, tutto riorganizzato in accessori iper contemporanei per scoprire cos’è rimasto di quegli anni nella cultura attuale e in cosa si è trasformato. La frase di Lydia Lunch (che si può leggere a caratteri cubitali entrando in galleria, ndr) racchiude il senso del periodo. “Eravamo dei joker, eravamo socievoli e volevamo solo spassarcela in quel dannato periodo, perché sembrava che l’Apocalisse stesse arrivando. Sembrava che la città fosse la fine del mondo”. Negli anni Settanta si era consapevoli dell’instabilità sociale e politica del tempo, strascico dei pesanti anni Sessanta, ma si provava a farvi fronte con un velo di superficialità. La forza del punk è anche quella di dire “i mezzi non ci interessano, per noi la forza è quella del risultato che deve essere di rottura”. Adesso tutto è molto più edulcorato, più addomesticato.
 
Il sostentamento della galleria?
 
In realtà siamo totalmente autofinanziati e ogni evento riesce grosso modo a ripagarsi. Ci siamo autodisciplinati e già a distanza di un anno e mezzo la mia idea iniziale è totalmente stravolta. Quest’anno abbiamo anche partecipato a una fiera a Colonia (Art Fair 21), su invito di un curatore di Parma che non conoscevo, ma che conosceva benissimo il nostro lavoro. Questa è una fiera di arte contemporanea che quest’anno inaugurava una sezione delle giovani gallerie, Bloom. Hanno selezionato realtà anche molto ibride e diverse – c’erano molti collettivi di street art quasi tutti tedeschi, molte gallerie americane che si possono ricondurre alla corrente del pop surrealismo, considerato di serie B dalla critica istituzionale – e abbiamo fatto quest’esperienza internazionale: le problematiche a Bari sono le stesse di una gallerista della periferia di Londra e questo è rincuorante.
 
 


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