23.02.2011

I LOW ART, UN’ESPERIENZA “SENZA PREZZO”

Enrica Dardes

TESTO

IMMAGINI

 
Abbiamo incontrato Mara Nitti, giovane co-creatrice della galleria temporanea I low art: un progetto che, nonostante la durata di soli tre mesi, ha riscosso grande successo.
Il manifesto che campeggia nel sito ufficiale di questa iniziativa è chiaro, cristallino, e ne rende appieno l’essenza: «L’arte la odi, la ami. Come l’amore non ha regole. Non ha prezzo, ma è commerciale. È un oggetto, ma è soggettiva. Vuol dire tutto, non vuol dire niente. Può valere tutto, può valere niente. Ha il valore che le dai. Noi le abbiamo dato il più basso».
 
Com’è nata la galleria, quali strumenti avete utilizzato per la ricerca? E con Kostantinos Karapidakis da cosa avete cominciato?
Kostantinos e io abbiamo vissuto tre anni ad Atene, mentre mia sorella si occupa della parte comunicativa, lavora a Milano come account manager. Ci siamo incontrati con l’intenzione di tornare a Bari per portare qui qualcosa che avessimo visto fuori e che a Bari non ci fosse. Ci siamo ispirati al progetto di “cheap art” che fanno ad Atene: si tratta di una galleria stabile che ha un progetto natalizio in cui artisti di qualsiasi formazione, anche molto affermati, vengono invitati a realizzare un’opera che abbia un costo massimo di settanta euro. Viene allestita una galleria ad hoc e c’è grandissima affluenza. La gente non vede l’ora di andarci e comprare un’opera d’arte. Noi ci siamo stati e abbiamo pensato che magari avrebbe potuto funzionare anche a Bari.
Ovviamente abbiamo cominciato col contattare gli artisti, e soprattutto i giovani, quando hanno sentito del costo basso e della piccola dimensione si sono un pochino straniti. Abbiamo stabilito un minimo di ottanta euro e un massimo di cinquecento per opera e abbiamo cominciato a selezionare gli artisti. L’idea è nata così.
Io sono andata via da Bari perché la trovavo una città un pochino spenta dal punto di vista culturale e, tornando, ho voluto fare questo tentativo. È stato un po’ un test. L’idea della temporaneità è stata una specie di esperimento andato benissimo; certamente anche perché abbiamo avuto un team comunicativo molto efficace: il nome è legato sia a love, quindi all’amore per l’arte, sia a low cost. Siamo partiti con ventisette artisti di cui di Bari ce n’era soltanto uno, che è un ragazzo che fa street art, e successivamente abbiamo conosciuto gente, artisti locali, e siamo arrivati all’ultima mostra con trentasette artisti, di cui una decina baresi, principalmente fotografi, perché ho scoperto che a Bari la fotografia riscuote grande successo.
Per la selezione degli artisti siamo partiti da nostre conoscenze – sia io che Kosta abbiamo frequentato l’accademia ad Urbino – artisti che avevano già fatto qualcosa fuori, poi tramite amicizie, internet, fiere che abbiamo visitato, abbiamo selezionato qualche nome che c’era rimasto particolarmente impresso. Abbiamo avuto la fortuna di portare alcuni artisti che successivamente abbiamo scoperto far parte di un conosciutissimo movimento italiano di Ivan Quaroni, the Italian Newbrow, come Marco Demis, Alice Colombo e Mirka Pretelli che sono tre nomi che fanno parte di questa nuova figurazione italiana. Fra l’altro è uscito un volume edito da Giancarlo Politi con le loro opere.
Molta gente si è chiesta come avessimo fatto ad avere quegli artisti. Noi semplicemente abbiamo contattato i ragazzi, gli abbiamo spiegato l’iniziativa e sono rimasti entusiasti dall’idea di offrire arte per tutti e hanno accettato.
Per esempio per quanto riguarda Marco Demis gli abbiamo chiesto opere di costo limitato e lui ci ha mandato dei disegni. Poi dei collezionisti ci hanno chiesto opere più costose e abbiamo fatto arrivare delle sue tele.
È andata molto bene. Io ero molto contenta delle visite, è venuta tantissima gente, anche che non mi aspettavo, non appassionata di arte contemporanea, ma anche solo incuriosita dalla quantità di opere. Per essere una galleria c’erano molti pezzi, circa 150 lavori. La gente è entrata e noi ci siamo messi a disposizione del pubblico: abbiamo organizzato anche un evento di spiegazione delle opere, cosa che non si fa solitamente nelle gallerie, e tantissima gente vi ha preso parte. Noi volutamente non abbiamo messo nome e tecnica alle opere perché volevamo che i visitatori ci facessero delle domande ed è stato così.
Abbiamo fatto un laboratorio per i bimbi, che hanno fatto dei lavori, dei collage. Noi veniamo dalla scuola del castello di Rivoli e abbiamo fatto una serie di laboratori con loro. Non abbiamo fatto quello che fanno molti, ovvero vedere un lavoro e riproporlo acriticamente; abbiamo cercato di far arrivare i bambini a capire cosa sia costruire un’opera d’arte, capirne l’idea e poi realizzare un lavoro partendo da quel concetto. Abbiamo presentato questi lavori diversissimi tra di loro, e poi gli abbiamo spiegato che il collage è un modo per associare tra di loro più cose e creare qualcosa che prescinda dal contesto. Sono venute fuori delle cose fantastiche. L’errore che abbiamo fatto è stato di non dividere le fasce di età: abbiamo avuto bambini dai tre anni e mezzo ai sei. Ho capito che i bambini più piccoli sono più liberi, invece quelli più grandi lo sono meno, per questo ci vuole un altro tipo di preparazione prima del laboratorio. Infatti, se il progetto va avanti, pensiamo di costruirlo meglio e di riproporlo più spesso. Abbiamo fatto tre vernissage: quello dell’inizio, quello di Natale e il party di chiusura.
 
Quali sono gli impedimenti che avete incontrato?
Gli impedimenti sono di tipo economico perché le entrate ci sono state, ma non bastano per coprire del tutto le spese: noi abbiamo un affitto da sostenere oltre alle spese con gli artisti, tutto unito all’insicurezza della vendita. Il progetto piace a tutti, però i collezionisti sono rimasti un po’ indietro, un pochino prevenuti sull’idea del low cost. Io ho parlato con due grossi collezionisti di Bari e mi hanno chiesto che “nomi” avessimo, come se il fatto che avessimo opere a basso costo significasse che avessimo opere di bassa qualità. In realtà quando li abbiamo selezionati la prima cosa che abbiamo richiesto è stato che le opere fossero recenti e di livello artistico elevato.
Stiamo progettando di aprire una galleria permanente il 25 febbraio con una mostra di una ragazza spagnola (Gema Ruperez Alonso, ndr) che avevamo già in galleria, che è andata molto bene, ed è l’ideale per iniziare. Lei ora risiede a casa Velasquez perché ha vinto una borsa di studio di un anno e loro organizzano questa residenza d’artista per portare avanti la loro ricerca. Lei ci ha mandato una serie di lavori di questo periodo e ha fatto una mostra in un museo (4° Espacio Cultural, ndr) nella sua città natale, Saragozza, sulla storia di Apollo e Dafne. La ha leggermente modificata per noi e la porterà a febbraio in galleria: saranno quindici opere su tela e quattro installazioni.
 
Quindi riapre la galleria?
Riapre la galleria con un altro nome e con un altro concetto, con dei nuovi artisti. Alcuni ce li portiamo dietro dal progetto precedente, altri li stiamo selezionando. Vorremmo inserire un gruppo che a me piace molto che si chiama Madame Duplok, perché vogliamo chiamare la città a interagire e loro fanno interventi sul territorio con delle opere che disturbano un pochino l’urbanistica. Abbiamo contattato una ragazza che, però purtroppo, ha un’esclusiva con una galleria e si chiama Tamara Ferioli, un ragazzo di Foggia che si chiama Dario Molinaro, che lavora sul disegno e anche sulla tela.
Insomma, ci stiamo muovendo. Stiamo organizzando questa mostra e forse una seconda che sarà però molto ridotta rispetto ad I low art: le opere saranno di meno, l’allestimento sarà più leggero e stiamo cercando di mettere in mostra come gli artisti contemporanei si possano rifare al passato, un contatto fra l’antico e il contemporaneo. Stiamo facendo un giro nei vecchi negozi di antiquariato e cerchiamo spunti per realizzare un’opera contemporanea. Anche questo viene da una mostra che abbiamo visto tempo fa, un evento collaterale della biennale di Venezia a Palazzo Fortuny, “Arte-Tempo”: in un palazzo dal ricco e abbondante arredo erano inserite opere di Jan Fabre, di Lucio Fontana, di Louise Bourgeois, e questo dialogo fra antico e moderno era eccezionale. Noi ci proviamo.
 
La formula I low art torna?
No, I low art diventerà un progetto che farà parte della galleria e sarà itinerante. Stiamo cercando di portarlo a Milano e poi ad Atene. A maggio andiamo in Grecia. A Bari vogliamo riproporlo, ma non nello stesso posto o magari non proprio in città, anche in provincia.
 
L’idea di fondo (che emerge dal sito) è quella di uno spazio liquido, legato alla necessità del progetto piuttosto che a uno spazio stanziale. Per I low art è stata utilizzata una vecchia sartoria, la struttura verrà però riutilizzata per questa galleria stabile, che però comunque non entra in conflitto con l’idea di spazio itinerante perché sono due progetti separati, nati da una stessa matrice. Giusto?
La nuova galleria proporrà anche il progetto di I low art, che credo porteremo in giro e forse riproporremo nella stessa location per il prossimo Natale; poi ci saranno sempre laboratori per i bimbi, ci sarà un bookshop di Einaudi, ci saranno una serie di tavole rotonde e di conferenze. Per esempio a febbraio ci sarà un incontro esplicativo sugli intenti della galleria e sull’opera dell’artista spagnola, che fortunatamente sarà presente quindi parlerà lei stessa della mostra. Io vorrei fare questo incontro a galleria spoglia, quindi farne vedere anche la costruzione.
Nel caso di mostre collettive a tema abbiamo intenzione di invitare teorici, storici dell’arte o giornalisti, in ogni caso persone competenti, per realizzare una discussione per su come si arrivi all’idea di una galleria attiva. A me personalmente la galleria in cui ci si imbarazza a entrare non piace. Credo che sia riduttivo. Noi necessitiamo della gente e abbiamo scoperto un sacco di cose entrando in contatto con la città.
Io sono mancata per dieci anni e il fatto che sia entrata tanta gente mi ha aiutato a capire come muovermi, quali artisti chiamare, come agire, che attività proporre. E poi siamo giovani, quindi la cosa dev’essere giovane.
 
Roberta Fiorito di FabricaFluxus  ci aveva riferito di aver trovato molto interessante il vostro progetto. Questo dà l’idea di scambio e non di concorrenza…
Quando siamo arrivati abbiamo conosciuto loro di FabricaFluxus, Giuseppe Bellini di BluOrg, l’ing. Labarile e ci siamo accorti che la concorrenza in una città come questa non serve a niente. Più siamo e meglio è. Se vogliamo far resuscitare la città, ci vuole anche quantità, oltre che qualità. Si deve creare movimento.
 
Il vostro progetto ha un intento formativo, oltre che espositivo ed economico. Può essere una cosa molto positiva per il clima culturale che c’è in città. Che idea avete della situazione attuale, essendo stati fuori dieci anni. Avete sentito parlare del progetto del BAC o delle mostre al Margherita o degli altri eventi che si fanno spazio a Bari, in relazione a questo voi come vi interfacciate?
Quando sono tornata a Bari dopo tanto tempo ho visto la mostra di Kounellis e per me è stato come vedere il sole. È stata una scoperta meravigliosa. Quando sono entrata nel Margherita mi è piaciuto anche vederlo in quello stato. Io avevo sempre quest’idea che Bari fosse rimasta un po’ indietro; viaggiando ho scoperto che queste location abbandonate, che poi diventano contenitori culturali, sono frutto di una tendenza europea e il fatto che Bari si sia adeguata a questo mi ha proprio stupita. Io spero che non lo sistemino tutto, perché così com’è fatto ha una memoria ed è bellissimo.
La situazione degli artisti a Bari, a mio avviso, è un pochino “chiusa”: non si guarda fuori e il giro più o meno è sempre lo stesso. Per questo noi stiamo cercando di riferirci a gallerie estere. A prescindere da FabricaFluxus, che ha un gusto molto selettivo – loro girano un sacco e quello che portano qui è sempre una novità – gli artisti nelle altre gallerie sono sempre gli stessi, i nomi sono sempre gli stessi ed è una cosa un po’ riduttiva. Però poi con una mostra come Trailer Park, sebbene difficilissima, si è rincuorati.
È fondamentale avere un museo di arte contemporanea in città. Servirà anche per il turismo, un turismo culturale e non di crociere.
 
Un bilancio dell’esperienza di I low art.
La cosa positiva del profilo economico è che hanno acquistato un po’ tutti, studenti universitari e collezionisti, ma anche gente comune, certamente anche perché le opere avevano un costo ridotto, quindi il guadagno non era elevatissimo.
A livello di esperienza è stato molto positivo. Io non mi aspettavo tutta questa risposta. Abbiamo conosciuto tantissima gente, ci siamo aperti ad una realtà che non conoscevamo.
 
Quindi pensa che a Bari serva solo l’input giusto, uscire dal particolarismo?
Mi sembra che ci sia una generazione assetata di queste cose che aspetta solo il “la”. C’è chi resta spaventato dalla mostra di Kounellis, è vero, però ci sono anche tanti altri giovani che stanno aspettando.
 
La nostra generazione ha viaggiato ed è cresciuta guardandosi intorno, cosa che magari quella precedente faceva soltanto in parte o solo dopo una certa età. Forse per questo per un ragazzo di trent’anni è un forte attrattore rivedere nella sua città il fermento che ha trovato all’estero.
Mentre per quel che riguarda i laboratori con i bambini, è pensabile che possa correre in parallelo al vostro progetto un team di operatori che lavorino presso le scuole e facciano qualcosa come il castello di Rivoli, però non presso una struttura come quella di Rivoli, ma con un vostro team che entri direttamente nelle scuole?
Noi abbiamo pensato a due tipi di laboratorio: uno legato al modello del castello di Rivoli, all’interno di strutture, gratuito. L’altro è di formazione per i bambini nelle scuole. Quindi a prescindere dalla galleria, siccome nelle scuole manca tutta la parte creativa, degli operatori culturali sarebbe interessante fossero presenti per gli studenti. Al momento prepariamo solo progetti interni alla galleria e poi prepareremo quelli da portare all’interno della scuola.
Bari negli anni Settanta era un punto di riferimento con Expo Arte e c’era una parte dedicata alle Accademie; con gli anni questo fermento è venuto meno. Per questo spero che l’assopimento di tutti questi anni porti ad una nuova nascita.
 
 


torna su