Alessandro Sciaraffa

Francesco Stocchi

TESTO

IMMAGINI

BIOGRAFIA

Potresti iniziare col raccontare la tua formazione?
 
Mi sono laureato al Politecnico di Torino presso la facoltà di Architettura, ho seguito diversi seminari e workshop presso la Fondazione Spinola Banna, la Fondazione Stockhausen a Kurten (Colonia, Germania), la Domus Accademy di Milano e per Proposte XXIII, Accademia Albertina di Torino. Ho fondato con i musicisti e compositori Pietro Luca Congedo e Fabrizio Rosso un gruppo di sperimentazione musicale chiamato WHYOFF.
 
Me ne parleresti?
 
I WHYOFF sono nati dopo diversi anni di collaborazioni. Nel 2006 abbiamo vinto il Premio Stockhausen, realizzando una nuova versione di Komet, un’opera degli anni Ottanta di Stockhausen. Si trattava di un grande lavoro installativo, realizzato assemblando in successione diversi strumenti da percussione, proiezioni evanescenti, pietre sospese trasformate in sensori, generando così moltitudini di suoni spazializzati in quadrifonia, modificati dal vivo con l’elettronica.
 
In occasione della mostra del premio LUM hai presentato un'opera interattiva, che si completa con l'interazione di chi la oserva. Ci racconteresti questo dialogo?
 
L’aspetto performativo è parte centrale della mia ricerca. La mia è stata un’azione. Un elemento esterno, l’aria, penetra all’interno di un contenitore vuoto, così la bottiglia risuona della stessa aria che s’insinua in un altro contenitore, l’ottagono di vetro, per poi rimbalzare e fuoriuscire espandendosi nel teatro e così via. Il suono è materia plasmata nello spazio. Puoi chiudere gli occhi e non vedere più ma è impossibile non ascoltare. Il silenzio assoluto non può essere udito. L’opera d’arte in quanto oggetto ha bisogno di essere fruita, in quanto soggetto è autonoma, immutabile perché inconsapevole d’esistere.
 
Mi vengono in mente alcuni tuoi lavori quali  UP TOWARDS SKY, LEFT TOWARDS FARAWAY, RIGHT TOWARDS HOME, DOWN TOWARDS HOME (2006), OPPURE DIAPASON (2007).
 
Sì, in questi lavori ho portato all’estremo la fisicità del suono. Ho tra- sformato il suono in uno strumento atto a scolpire il vuoto dello spazio in cui intervenivo. Un tentativo di estendere la mia mano e l’azione nel tempo. È il suono a dar forma allo spazio e all’immagine.
 
Il tuo lavoro sembra combinare forme allegoriche allo studio della fisica. In una pratica così concepita, l'errore è pressoché inevitabile. Come lo intendi nella tua opera?
 
Ti rispondo con una massima di Bacone, “dì una menzogna e troverai una verità”. Se fossi preoccupato dei risultati formali, avrei potuto evitare tutto questo lavoro accontentandomi dell’immaginazione. Per lo studio di un’ipotesi parto sempre da un’intuizione che, per quanto falsa, mi dà accesso a una verità, mi direziona verso una comprensione migliore. L’uso dell’intuizione è infatti analogo alle prove a tentoni che si farebbero in un labirinto: si segue un’ipotesi fin quando non si arriva a un vicolo cieco. Il filo registra ogni tentativo, e da questi tentativi risulta l’opera. All’interno di un processo, il fallimento dell’ipotesi è in realtà più illuminante del suo successo, poiché il successo può essere illusorio, mentre il fallimento e chiaro. Così come nel labirinto la scelta della strada “errata” porta non allo smarrimento ma alla costruzione di senso.
 
Da dove trae origine la ricerca sul suono che aratterizza buona parte del tuo lavoro?
 
Dalla fisicità del suono, capace di generare immagini tattili. La predominanza dalla facoltà visiva porta a una dipendenza dall’immagine, quindi a una rappresentazione del reale che prescinde da qualsiasi altro dato dell’esperienza. Il suono oltre a poter essere un segno è una “cosa”. Con l’udito possiamo più facilmente concepire un mutamento senza che qualcosa cambi alla nostra vista. Noi siamo in grado di misurare i mutamenti delle cose rapportandoli al tempo. Al contrario il tempo è un’astrazione, alla quale arriviamo proprio attraverso la constatazione del mutamento. È un dato di fatto che nella vita reale ci orientiamo rispetto a oggetti che possiamo effettivamente vedere, e non rispetto allo spazio invisibile. Le “cose” sono indicatori che ci dicono dove siamo e come siamo.
 
Questa intervista è destinata ad una pubblicazione realizzata in occasione del premio LUM sull'arte italiana. Cosa pensi, in generale, dei concorsi d'arte?
 
Se ne sei il vincitore, possono aprirti nuove porte e consentirti di acce- dere al “sistema arte”. Altrimenti, possiamo considerarli un “errore”, di quelli che rendono più chiara la strada e consentono una maggiore comprensione della propria ricerca.
 
Tendi a impiegare in modo esplicito elementi che appartengono a lavori precedenti. Sicuramente c'è un desiderio di continuità e serialità, ma m'interessa di più sentire il tuo pensiero riguardo al concetto di scarto presente nella tua pratica.
 
Sono d’accordo con Bauman quando parla di declino dell’idea di eternità. La perdita escatologica del mondo ha favorito l’affermarsi dell’idea che “nulla è destinato a durare... Gli oggetti utili e indispensabili oggi sono i rifiuti di domani”. Nella società in cui viviamo, anche gli uomini possono essere scarti.
 
E la vibrazione della materia può conferire nuova vita al "rifiuto"?
 
La vibrazione della materia mette in relazione oggetti e materiali diversi, si tratti di luce, suono, metallo, carta, vetro o aria. La vibrazione può quindi conferire nuova vita se il rifiuto è parte costituente di un’opera o materia prima per la produzione di energia.
 


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