Ettore Favini

Luca Cerizza

TESTO

IMMAGINI

BIOGRAFIA

Qual è la tua definizione di "arte pubblica"?
 
Per me è un po’ come il concetto di tempo: “Se nessuno me lo chiede lo so, ma se voglio spiegarlo allora non lo so più” (Agostino, Confessioni, XI). Anche se in realtà è tutto ben chiaro. Arte pubblica è ogni opera che crea una relazione con il pubblico, in cui il luogo diventa un amplificatore del lavoro. Per diventare pubblica, un’opera non deve necessariamente essere collocata in un luogo esterno o destinato alla collettività. Non mi interessa l’arte pubblica come “posa del manufatto” in un luogo pubblico, ma invece la creazione di una stretta relazione con il contesto. Dove è possibile il lavoro deve diventare “esperienziale”, non restare fisso, come nel caso del monumento tradizionale. Deve poter mutare, essere organico e interagire sia con il pubblico che con il luogo.
 
Secondo te come può l'arte essere testimonianza del presente? E attravero quali forme e modalità?
 
Gli artisti da sempre traggono il loro nutrimento da ciò che vivono e vedono intorno a sé, da ciò che accade nel presente, anche dalle storie minime che succedono ai margini. Però il loro sguardo spesso riesce sempre a vedere un po’ più in là, un poco più avanti, secondo me perché non si fermano a una visione orizzontale ma cercano uno sguardo verticale, perché dall’alto le cose si vedono meglio, in modo più chiaro.
 
Che cos'è un monumento, nella tua opinione?
 
Il monumento storicamente è sempre stato concepito come una celebrazione di un personaggio o un momento storico, un manufatto “eroico” che contemporaneamente celebra anche l’ego dell’artista. Da qualche anno, c’è una revisione storica dell’idea del monumento, ma i risultati diqueste ricerche spesso producono dei monumenti anti-monumentali, o degli anti-monumenti che risultano però ugualmente monumentali. Per quanto mi riguarda, penso che un monumento debba essere un regalo che l’artista fa alla cittadinanza, credo che basti offrire un momento di emozione e che la relazione “intima” che si crea in quel particolare momento generi di per sé un monumento.
 
In che modo il tuo lavoro per il premio LUM (VARIETÀ MARGHERITA, 2009) rientra in queste categorie? Come risponde a questi obiettivi? Si può dire che anche quello sia un monumento, o sbaglio? Ci puoi raccontare qualcosa di quel lavoro e, più in generale, del modo in cui ti muovi in contesti pubblici (penso, ad esempio, al progetto VERDECURATODA)?
 
Quel lavoro nasceva dall’idea del regalo, dalla celebrazione della memo- ria del luogo. È stato un viaggio immaginifico nel passato del Margherita, in particolare le due serate dell’inaugurazione, prima e dopo l’incendio. Le luci della ribalta, i fuochi d’artificio, la folla, gli applausi... Parlando con le persone a Bari durante i sopralluoghi, poi, ho raccolto delle piccole storie, di quando era diventato un cinema e del rammarico per la sua chiusura. Il lavoro tenta di unire tutti questi elementi, quindi ho cercato di analizzare i vari momenti storici che hanno scandito la vita del Margherita, stratificandoli in un unico oggetto, che fosse una sorta di macchina del tempo emotiva. Quando mi muovo nei contesti pubblici solitamente mi piace parlare con la gente, entrare in contatto con la quotidianità del luogo e carpirne qualche segreto del passato, per poi riuscire a tradurre i sogni e i desi- deri in opera. Verdecuratoda, realizzato a Torino nel 2008, è una scultura vegetale composta di un frutteto di antiche essenze arboree autoctone del Piemonte il cui cuore è una centralina di controllo fotovoltaica che alimenta l’irrigazione e l’illuminazione. Per questo lavoro, c’è stata una parte iniziale di dialogo con un gruppo di abitanti del quartiere. Questo dialogo è stato utile per entrare men- talmente nel lavoro, per capire l’anima del quartiere, che era spesso raccontato come marginale e degradato. Ho fatto numerosi sopralluoghi scoprendo invece questa sopita anima agreste, che mi ha portato a lavorare proprio con il passato agricolo di quel quartiere. Il lavoro si è composto naturalmente, formando un filo “verde” che collegava passato, presente e futuro.
 
Che rapporto c'è tra il tuo interesse per il contesto sociale e umano in cui ti trovi a operare, la dimensione "pubblica" di cui dicevi prima, e la dimensione del tempo, dell'infinito, che sembra ricorrere in molti tuoi lavori?
 
Da sempre sono ossessionato dalla transitorietà della vita. Questo mi porta a lavorare partendo da riflessioni che riguardano il tempo, la storia e l’infinito. Sono ben conscio che le operazioni che compio e i lavori che realizzo non potranno mai essere infiniti, ma resisteranno sicuramente nel tempo. Quindi quando mi trovo a operare in spazi pubblici, mi piace lavorare con il paesaggio e anche con degli elementi vegetali, che hanno dei tempi più lenti di crescita e di sviluppo. Ad esempio, nel caso della serie di fotografie che sto realizzando in luoghi che furono campi di battaglia (Battles), mi piace immaginare che gli alberi che si trovano lì abbiano visto scorrere secoli di avvenimenti storici, come dei testimoni silenziosi.


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