Francesco Arena

Luca Cerizza

TESTO

IMMAGINI

BIOGRAFIA

Qual è la tua definizione di "arte pubblica"?
 
È difficile dare una definizione di arte pubblica, solitamente quando mi dicono: “Quella è un opera di arte pubblica” a me non sembra tale, ma a Milano in tram ho visto un signore che diceva che tutti gli uomini devono essere come Gary Cooper e quello sì che mi sembrava arte pubblica.
 
Secondo te come può l'arte essere testimonianza del presente? Attraverso qualiforme e modlità?
 
Sarebbe interessante capire se c’è un presente condiviso o se solo alla memoria si chiede lo sforzo di essere condivisa. Comunque credo che l’arte sia testimonianza del presente sempre.
 
Che cos'è un monumento, nella tua opinione?
 
Qualche giorno fa sono entrato al bar dove vado ogni mattina a prendere il caffé e ho visto un anziano signore, frequentatore abituale dello stesso bar, che aveva un cappello da Alpino con una fila di medaglie appuntate addosso. In quel momento mi sono reso conto che era il 4 novembre, il giorno in cui si commemorano i caduti in guerra. Vedendo l’anziano signore mi sono ricordato che quand’ero bambino il mio bisnonno, ex combattente della guerra del 15-18, ogni 4 novembre indossava l’abito buono, si appuntava le sue decorazioni e si sedeva vicino alla lapide che in paese riporta i caduti delle due guerre. Intorno a lui i parenti dei caduti allestivano dei piccoli altari con la foto del congiunto, le decorazioni, qualche oggetto dell’epoca. Il 4 novembre c’erano gli altarini e il mio bisnonno, altare e monumento di se stesso.
 
Le tue risposte qui sopra sembrano dire di un interesse per la dimensione narrativa, per il racconto, per la cultura popolare. Mi chiedo come cultura popolare, idiomi tradizionali e attenzione alla memoria storica possano eventualmente coesistere nel tuo lavoro.Qual è il rapporto tra storia e leggenda? La domanda è, in fondo, la stessa che apre uno dei paragrafi de LE PARTAGE DU SENSI- BLE di Jaques Ranciére: “LA STORIA È UNA FORMA DI FINZIONE?”.
 
Queste cose coesistono nel lavoro perché fanno parte del mio sguardo, collassano uno sull’altro, si affastellano e compattano. Probabilmente è la memoria a essere una forma di finzione: selezioniamo quello che vo- gliamo ricordare scartando ciò che non ci interessa o non torna utile alla nostra ricostruzione storica, i dati servono a mettere ordine nella storia e a porre limiti, margini. Anche l’intervento pensato per il Premio LUM [s.t.(margherita), 2009] è fatto di margini in questo caso frammentati, tratteggiati come si tratteggia una linea che delimita bordi destinati a essere tagliati, spezzettato come la memoria e come l’ufficialità del racconto. Il perimetro della platea del teatro Dubrovka di Mosca (sede del sequestro a opera dei ribelli ceceni e del conseguente massacro, nell’ottobre del 2002) è disegnato nel pavimento del Margherita, entra nel cemento del pavimento mantenendo però una sua indipendenza acciaiosa. È come un frutto di mare che si scava la tana nello scoglio trasformandolo non in casa, perché la sua casa è il suo guscio calcifero, ma in fondamenta nelle quali acclimatarsi, quasi saldato con la sostanza della roccia tanto che il pescatore di frodo deve rompere lo scoglio con martello e scalpello per tirare fuori il mitile.
 
Come quello presentato al teatro Margherita, molti dei tuoi lavori sono visualizzazioni o oggettivazioni di misure e cifre relative a un particolare evento storico o di cronaca. Perché questa scelta? A me sembra che i dati aritmetici nel tuo lavoro siano gli unici dati certi di storie e vicende spesso ambigue e ancora non chiarite. Quei dati incontrovertibili appaiono come l'ultimo rifugio di qualunque possibilità di alterazione. In questo legarsi al dato oggettivo mi sembra ci sia, da una parte, un desiderio di raffreddare ogni possibile forma di retorica, dall'altra una certa qual forma di disperazione, come se i numeri fossero l'unica cosa che abbiamo in mano, soprattutto in relazione ad alcune vicende ancora oscure della storia italiana.
 
Tutto quello che dici è esatto. Ogni storia è interpretabile mentre i dati hanno una loro secchezza data. Qualche mese fa guardavo in televisione un documentario che raccontava la storia del commissario Luigi Calabresi, naturalmente a un certo punto si parlò anche della morte di Giuseppe Pinelli, l’anarchico precipitato dalla finestra dell’ufficio del commissario nella questura di via Fatebenefratelli a Milano. La persona intervistata in proposito raccontava che Pinelli era sicuramente caduto dalla portafinestra a causa di un malore, l’intervistato diceva che era facile precipitare da quella porta finestra perché la ringhiera della stessa era alta poco più di cinquanta centimetri. Sentendo questo chiunque penserebbe che è vero, facilmen- te un uomo alto circa un metro e sessantacinque perdendo l’equilibrio per un mancamento potrebbe scavalcare una ringhiera di quell’altezza cadendo. In realtà la ringhiera non era alta “poco più di cinquanta centimetri”, bensì novantadue centimetri, ben quarantadue centimetri in più rispetto ai cinquanta utilizzati come base di partenza nel racconto dell’intervistato. Forse sarebbe stato più corretto dire che la ringhiera era alta poco meno del doppio di cinquanta centimetri. Sentendo l’intervistato e conoscendo il dato in questione ho pensato che nelle intenzioni della persona in questione ci fosse la volontà di dire senza dire, anzi di dire facendo finta di dire ma cambiando in realtà la realtà di un dato. Penso che i dati incontrovertibili facciano paura, ma in questo caso il dato portato come esempio dall’intervistato, “poco più di cinquanta centimetri”, non si può dichiararlo falso perché non lo è, novantadue centimetri e poco più di cinquanta centimetri se immaginiamo una forbice aperta nella quale una punta è cinquanta centimetri e l’altra è duemilaetrecento centimetri. Quella sì che sarebbe stata una ringhiera alta.
 
 
 


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