Michele Giangrande

Antonella Marino

TESTO

IMMAGINI

BIOGRAFIA

La statua della Libertà e Hitler, Freddy Mercury e Tony Manero, Alberto Sordi e Papa Giovanni Paolo II, San Michele Arcangelo e Arnold Schwarzenegger...coppie di icone giganti col braccio destro alzato, appartenenti a diversi periodi storici, disegnate da esili profili con un semplice metro da cantiere, si schierano lungo il corridoio che conduce al palcoscenico del vecchio teatro Margherita. Creando un repertorio di fantasmi scenici con cui ironicamente "misurarsi", ipotetici personaggi di una commedia umana e sociale ancora da rappresentare...Michele, tu sei l'unico tra i quindici artisti della prima edizione del premio LUM che in quel periodo viveva a Bari. Forse hai avuto modo di frequentare in più occasioni la mostra e magari carpire commenti o critiche del pubblico, che è accorso numerosissimo. Come ti sembra sia stata accolta la tua opera e in generale l'intera iniziativa?
 
Certamente non si può dire che la rassegna sia passata inosservata dal pubblico barese e non. Lo testimoniano l’affluenza durante tutto il periodo di apertura, ma soprattutto la straordinaria e massiccia partecipazione all’inaugurazione, complice la genuina “attesa” che si era sviluppata sin dalla presentazione del Premio, circa un anno prima. Ovviamente la location ha fatto il resto. Non dimentichiamo che la facciata del Teatro Margherita, essendo chiuso da circa trent’anni, era sostituita nella memoria della maggior parte dei cittadini dal telone scenografico posto all’esterno del cantiere. Io stesso, trentenne barese, non potevo immaginare cosa nascondesse quel “sipario”. Questo ha fatto si che al pubblico di settore si affiancasse un vastissimo e folto gruppo di curiosi, architetti, storici, appassionati... Ma soprattutto di cittadini che, spinti dall’eccezionalità dell’avvenimento, si sono recati verso quello che tornava finalmente a essere un contenitore culturale per la città. Quindi una doppia ed efficace attesa: quella per il premio e quella dell’apertura del teatro. La mia opera, nello specifico, trattando icone appartenenti al patrimonio collettivo, è stata apprezzata anche dai non “intenditori” ed è risultata molto popolare.
 
Nel tuo lavoro utilizzi spesso banali oggetti domestici, trasfigurandoli come texture di silicone, di erba finta, cerotti, piume d'oca...Secondo me però le opere più riuscite sono quelle a dimensione ambientale. Come il PLANISFERO UN UOVO MONDO CON 8000 e ROTTE (SI FA PER DIRE) UOVA DI GALLINA, allestito sul lastrico del check in all'aeroporto di Bari in occasione del premio GAP 2006 (vinto ex aequo con Giuseppe Teofilo). Oppure le TWIN TOWERS in versione torri di Babele, costruite con incastri di 22 650 cialde di gelato, che colpirono il pubblico durante la scorsa edizione della Biennale dei giovani artisti dell'Europa e del Mediterraneo. E, più di recente, alcune installazioni secche, di grande impatto: un  “MURO DEL PIANTO” composto da semplici casette in legno - quindici metri di maleodoranti contenitori di cipolle da cui tenersi alla larga per evitare lacrime. O ancora: una vecchia sedia a dondolo modificata nel movimento laterale; un articolato labirinto di casse di birra in plastica rossa; un variopinto girotondo di cravatte a terra; dei tappeti intrecciati con decori d'oriente e d'occidente, ottenuti con morbidi metri da sarta colorati...Da cosa è offerto lo spunto per un nuovo progetto e che importanza ha il contesto in cui intervieni?
 
Nella mia ricerca la componente dello spazio, del contesto inteso non solo come dimensione ma come luogo vivo, elemento dell’universo attraverso il quale ci muoviamo ed esistiamo, diviene componente fondamentale ed indispensabile. Vivendo un territorio se ne assorbono le energie, se ne ricevono i messaggi, se ne leggono i significati e le storie più profonde; la sensibilità dell’artista si appropria di questi messaggi e di questi significati, e li metabolizza attraverso processi di analisi e associazione, per dar vita poi a un’idea, che in seguito viene concretizzata. Ovviamente la preparazione, la conoscenza e la cultura del singolo artista funge da malta per mettere insieme la parte sensibile della prima fase con la parte tecnica e razionale, fatta di studio e ricerca, della seconda. Personalmente preferisco lavorare con le installazioni site-specific. ll primo progetto per il Premio Lum, presentato subito dopo il sopralluogo, rientrava decisamente in questa peculiarità di approccio. Consisteva nell’agire all’esterno del teatro, intervenendo su quella porzione che da quando sono nato caratterizzava il teatro sulla facciata che dà sul mare: l’impalcatura del cantiere. L’intervento prevedeva l’utilizzo dei teloni che servono per proteggere dalla caduta di detriti. Utilizzando la struttura a “scacchiera” dell’impalcatura come modulo di base, volevo riportare in misure decisamente notevoli, circa ottanta metri per trenta, il prefisso telefonico di Bari, lo 080. Un linguaggio numerico, universale, che definisce una determinata zona geografica. L’installazione – che doveva guardare al mare, da sempre luogo di partenze e arrivi – avrebbe messo in relazione il teatro con la città e con l’infinito. Purtroppo o per fortuna, l’impalcatura doveva essere rimossa proprio in occasione della riapertura del teatro e quindi il progetto non è stato compiuto, lasciando spazio all’alternativa dell’installazione Braccio destro series.
 
Il repertorio di trovate e il campionario di possibilità formali che tiri fuori dal tuo versatile cilindro è vastissimo e di grande effetto. Nessuno spunto tematico, nessuna traccia, nessuna suggestione teorica o visiva si sottrae alla vivace bulimia del tuo sguardo e al tuo talento febbrile: trasformando la realtà in altro, ci costringi a guardarla da punti di vista inediti, mettendo in moto scarti di pensiero, associazioni improbabili, riflessioni ironiche e al tempo stesso critiche. Quale valore ha per te l'ironia - un elemento che tra l'altro sembra appartenere al DNA artistico pugliese, a partire dal mitico Pino Pascali? 
 
Certo è innegabile il legame con Pino Pascali, che peraltro amo molto. Più che come elemento del DNA artistico pugliese, quest’ironia che ci accomuna potrebbe essere però interpretata come una reazione a un sistema desertico che offre ben poche possibilità. Nel mio lavoro l’ironia, se di ironia si può parlare, ha lo stesso valore che potrebbe avere un saluto del salumiere un sabato pomeriggio o un’auto che distrattamente sfreccia su una pozza d’acqua e ti inzuppa il bel vestito nuovo.
 
La partecipazione al premio LUM corona un curriculum molto promettente, segnato da partecipazioni nazionali e qualche incursione internazionale, con il sostegno di gallerie private (come Paolo Beretta di Foggia) e istituzioni (recentissima è la tua personale al Museo Pino Pascali di Polignano). Tuttavia l'inserimento nei circuiti dell'arte "che contano"non è facile, soprattutto per chi come te fino a poco tempo fa ha scelto di rimanere al sud. Cosa ne pensi dei meccanismo spesso ipercinici del sistema artistico e quali chance ritieni possa avere un giovane artista che opera lontano dai centri di elaborazione del potere culturale ed economico?
 
La mia generazione e quelle future godono di possibilità che fino a non troppo tempo fa erano solo utopia. Il Sud è cresciuto parecchio dal punto di vista dei collegamenti, per non parlare della rete, che permette di essere costantemente informati con un click. L’alta qualità di vita al Sud ha spinto molti di noi a restarvi. Certo è che a un certo punto si può sentire l’esigenza di spostarsi,anche per poter cogliere personalmente tutta una serie di dinamiche che altrimenti resterebbero sconosciute. In questo momento io vivo a Bergamo, e ciò mi permette di raggiungere facilmente,tra le tante possibilità,centri come Milano, Berlino e Londra. L’obiettivo primario in questo momento è riuscire a puntare a un circuito internazionale: non escludo dunque un ulteriore trasferimento, questa volta all’estero.


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