“Resilient” a Berlino. Focus su Sergio Racanati

Antonella Marino

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Da Bisceglie a Berlino, sul filo teso di una “resistenza” politica che si fa al tempo stesso azione artistica.  E' stata presentata alla Biennale di Berlino - all' interno di un progetto espositivo curato da due studiose americane ( parte del ricchissimo palinsesto di interventi, incontri e riflessioni targato Arthur Zmijewski & co)  -  l' operazione “Resilient” che Sergio Racanati ha realizzato lo scorso anno in un' area a Nord di Bari insieme al collettivo attivista Le Macerie_Baracche Ribelli ( e il supporto critico di Mariapaola Spinelli). Un' esperienza importante per il giovane artista originario di Bisceglie, con studi a Milano e Londra e diverse iniziative anche internazionali in cantiere.
Ma  come è arrivato l' invito berlinese? "A dicembre ho partecipato ad un' open call per un progetto espositivo promosso da due ricercatrici universitarie, Samara Grace e Jocelyn Parr, che stavano concludendo un dottorato di ricerca in Europa e avevano fatto tappa a  Bergamo”, racconta Racanati. “Il loro concept era di organizzare una conferenza sui movimenti dell’occupazione,  individuando sia ricercatori universitari di ambiti e interessi differenti, che artisti. Il passaggio alla Biennale è avvenuto successivamente: i responsabili della Biennale hanno coinvolto il movimento Occupy; le curatrici dell’open call  sono state invitate nel’ambito di Occupy Biennale. Tutti insieme  hanno selezionato otto artisti e otto ricercatori universitari d’ambito internazionale. Tra loro c’è un'altra barese, Giovanna Laterza, esperta di letteratura greca, che vive a Parigi, sta facendo un dottorato sulle figure retoriche dell’ Eneide e ha presentato un bellissimo studio etimologico della parola occupazione”.
Ma entriamo nel merito di “Resilient', un termine che significa resilienza, ovvero una specifica proprietà dei metalli a non farsi piegare e dopo aver subito pressioni ritornare allo stato iniziale, usato dunque in senso metaforico. “Il progetto”, spiega l’autore, “nasce con un collettivo operante  sul territorio nord barese, le Macerie_ Baracche Ribelli, che ha occupato una zona in una grande area tra Bisceglie e Molfetta adibita a grossi centri commerciali e ad un tremendo fashion disctrict.  Si tratta di  terreni che non sono ne’ edificabili  ne’ vendibili da parte dei proprietari,  perchè costituiti da piccolissimi lotti a ridosso di una lama con vincoli paesaggistici. Loro hanno costruito li’ in maniera provvisoria tre baracche, in cui svolgono un’ attività:  c’è stata anche una liason con il Comune, che ha consentito di mantenere una zona di custodia per i cani randagi. Io ho interagito con questi ragazzi in modo lento, partecipando a tutte le riunioni il lunedi’ sera alle nove. Il percorso è durato sei mesi,  quasi un rituale di iniziazione, e si è concluso con la mia annessione al movimento anarchico. La fine di questo processo à stato cioè l‘inizio del mio lavoro di attivista”.
E’ una svolta politica, in sintonia con un trend oggi molto sentito, che conferisce nuovo spessore  ad una  ricerca protesa  fin dagli esordi verso una lettura critica dei sistemi di potere e della complessa realtà globalizzata...
Il  ruolo dell’artista”, dice Sergio con convinzione  “è quello di captare dei segnali di cambiamento che sono nell’aria, innescare delle domande nella collettività. Non possiamo lasciare in mano dei nostri capitalisti lo sfacelo delle periferie. Agli artisti è data forse la possibilità di attivare dei processi di mediazione tra i movimenti di protesta e le istituzioni.  Questa edizione della Biennale di Berlino, con Occupy che ha tenuto in piedi una fucina di idee attraverso talk e laboratori, ha contribuito ad accendere dei riflettori su questi temi”.
 Ma quali sono i contenuti del suo intervento?   “Ho presentato “Resilient“ in versione integrale, con due video e una performance che consiste nell’elencare sotto un telo nero circa 350 parole memorizzate negli incontri con il collettivo. Parole legate a problematiche politiche, sociali, ambientali, economiche, famigliari, o ad un’intimità che diventa comune. L’azione dura 25 minuti. L’ ho riproposta in italiano perché mi sembrava giusto non operare un falso e loro hanno accettato questa mia radicalità. Ho distribuito solo un estratto di parole tradotte in italiano e in inglese.  Il primo  video è invece  una zoomata in loop sulla bandiera con il logo del collettivo, un cane teschio sul fondo nero, che sventola su un cielo con dei gabbiani. L’ altro è la documentazione delle tre casette, fatte in lamiera con inserti in legno, durante la giornata del primo maggio, connotata dunque politicamente. All’interno dello spazio occupato, tra gli ulivi, si svolge la fiera delle autoproduzioni: video-documentari, vestiti, accessori, agricoltura. Fra i partecipanti c’e’ ad esempio la grande comune di Urupia, che da anni vive nel Salento secondo i criteri della ripartizione dei capitali e si sostiene da sola”.
Il  bilancio di Berlino  è dunque positivo? “ Sono molto soddisfatto, ho avuto riscontri che mi hanno aperto nuove opportunità”, precisa l’ artista. “Una curatrice tedesca di origini russe è impazzita per i miei video, mentre altri due curatori inglesi mi hanno invitato, unico italiano, ad una residenza estiva di un mese presso il Performance Space di Londra.
Ho poi conosciuto i curatori del  berlinese Kreuzberg Pavillion,  che  stanno portando avanti un’ operazione di resistenza a Documenta(13): mi hanno coinvolto nella mostra  che s’ inaugura il 24 agosto in un padiglione di fronte al parco del Federicianum a Kassel!
Il programma di impegni è dunque ricco e promettente, ma altre prospettive bollono in pentola.  ”Adesso sto lavorando ad una performance sul tema della memoria”, continua Racanati,  “un lavoro sonoro in cui cantero’.  Una piccola prewiew è stata fatta al festival della performance di Cantù ed e’ stato commovente perchè il pubblico ha cantato con me una parola sola, memory, trasformata in una sorta di mantra. Sto pensando di portarla a Londra. Sono stato inoltre scelto per il progetto di ridefinizione urbana del Portico di Piazza Gramsci a Milano, firmato da un collettivo di giovani curatrici  che s interessa alle pratiche relazionali nello spazio pubblico, affiancato da Maria Rosai Sossai.  Infine”, conclude,  “c’è uniniziativa che mi sta molto a cuore  e che verrà avviata da ottobre in Puglia: un progetto di residenze a Trani, ideato da me grazie allappoggio di  un illuminato collezionista del posto che mette a diposizione un palazzo. Partiamo con sei artisti con cui  indagheremo su alcuni spazi borderline presenti a Bisceglie. Io ho mappato quattro bar frequentati da extracomunitari, prevalentemente africani, o da lavoratori agricoli, oppure da ragazzi che lavorano sulle barche. Ci sono poi una sala gioco e una vecchia sede della Carboneria nel centro storico. Opereremo in maniera autonoma e alla fine le tracce di questo lavoro verranno portate all’interno del palazzo. Gli artisti che ho chiamato, tra cui anche architetti, sono volutamente non locali, con una motivazione precisa: promuovere un momento di riflessione altra sul territorio, come possibilità di confronto  e di crescita …”


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