ART / 43 / BASEL

Reportage di Alessandra Lozito

TESTO

IMMAGINI

To Art Basel with love.
Diario di 5 giorni trascorsi tra le vie della città svizzera che ha ospitato la Fiera di Arte contemporanea più ricca d’Europa, giunta alla quarantatreesima edizione.
È importante considerare il contesto cittadino, dal momento che, se si chiama “Art Basel”, è proprio perché tutta la città di Basilea entra in simbiosi con la vita della fiera e viceversa. Una serie di eventi, luoghi e “situazioni” extra-ordinarie hanno reso i cinque giorni di metà giugno (13-17) una festa dell’arte contemporanea aristocratica, sobria, poco chic ma decisamente coinvolgente.
Prima di giungere all’edificio della “Messe”, nel cuore di Basel, la strada attraversa un vero e proprio cantiere a cielo aperto. I lavori di ampliamento del centro fieristico, ad opera del famosissimo studio di architettura di Basilea Herzog & de Meuron, proseguono a tamburo battente ogni giorno, davanti agli occhi dei visitatori e dei turisti, espressione di quello stacanovismo tipicamente made in Switzerland. Le ruspe, la polvere, i mattoni, le gru, i rumori assordanti delle escavatrici appaiono quasi come una performance live che introduce alla fiera e il pubblico curioso dei passanti -aspettando l’autobus- spia attraverso le aperture nelle reti di protezione.
Le gradinate in legno allestite all’ingresso della fiera fungono da stage d’incontro e di ritrovo, oltre che da relax-corner tra una visita e l’altra. Clemente il clima: decisamente estivo. Il sole spacca le pietre e l’atmosfera è gradevolissima.
L’essenzialità e la sobrietà geometrica dell’ esterno dell’edificio della Messe prosegue anche internamente tra gli stand. Le gallerie si susseguono ordinatamente: spiccano i moduli aerei di Calder, le tele di Picasso e le stampe di Warhol. Il primo e il secondo piano della fiera, infatti, raccoglie le gallerie storiche come la von Bartha Collection di Basilea, la milanese Massimo De Carlo, la Gagosian di Madison Avenue, con i loro Tom Wesselmann, Damien Hirst e Dan Colen.
La gradazione di bianco e grigio dell’edificio principale si interrompe unicamente col rosa shocking del padiglione di Art Unlimited. Questa la sezione staccata che accoglie le installazioni fuori misura, inedite, quelle più graffianti e dai format più aggressivi. Questo lo spazio della ricerca e della proposta. Si riconosce immediatamente una particolare attenzione all’ “oggetto”: la sedia, il materasso, la porta, la lampada, lo specchio, la libreria, il neon, oggetti che, nelle composizioni e assemblaggi più svariati, rimandano al senso intimo e privato dell’arte. Un approccio che richiama quasi la dimensione del fare arte come antica Teknè. Qui: la ricostruzione scenica kurimanzutto di Jimmy Durham; la lunghissima serie di 1,000 polaroid montate su alluminio (Thousand di Philip-Lorca Dicorcia) che si srotola a mo’ di greca decorativa sulla parete dello stand della newyorkese David Zwirner o l’installazione d’impalpabile geometria astratta di Ricci Albenda (Andrew Kreps Gallery, New York), molto apprezzata e fotografata dal pubblico.
Opere a tratti rassicuranti, che parlano di casa, di vita, di interiorità. Ma anche interventi di grandi dimensioni che vogliono colpire, shockare e imporsi fortemente nello spazio come le due installazioni parietali bicolor, fluorescenti di Olivier Mosset (Galerie Andrea Caratsch, Zurich), la maxi scultura luminosa Revoltage di Raqs Media Collective (Frith Street Gallery, London) o, semplice ma efficacemente d’effetto, l’opera di Ugo Rondinone (Galerie Eva Presenhuber, Zurich), dove lo spazio è abitato da passerotti che ‘passeggiano’ sul pavimento ligneo.
E poi LISTE! The Young Art Fair in Basel si propone come una esperienza molto interessante soprattutto per la location scelta: la vecchia fabbrica di birra Warteck. Un labirinto di sale, corridoi, scale, ambienti di scolorito sapore vintage che hanno ospitato le gallerie di ultimissima proposta sul mercato. Tra i tantissimi lavori (molti di dubbio gusto), tra i più svariati linguaggi espressivi, nel clima da intricato mercato rionale misto a un piglio intellettuale-informale, si incontrano i suggestivi 29 remi con pala bruciata di Patrick Hari della galleria BolteLang di Zurigo; esteticamente attraenti nella loro semplicità le quattro sfere montate su cavalletti in legno di Chris Cornish (Array, 2012 della parigina Schleicher/Lange); formalmente interessanti, i pannelli-arazzo di Antonis Donef, provenienti dalla The Breeder di Atene, attraggono e convincono per la loro realizzazione: conquistano lo spazio srotolandosi per 220 x 800 cm, come il continuum di un vecchio papiro che narra miti lontani. Vi si riconosce il grande interesse dell’autore per il segno grafico dell’arte cinese e per il format del rotolo-palinsesto. Significative e bizzarre le proposte della Limoncello di Londra. Mentre, a rappresentare l’Italia, le gallerie Monitor di Roma, vocata al linguaggio del video e le milaniesi Fluxia, Francesca Minini e Kaufmann Repetto. La scala antincendio a zig-zag della facciata conduce e smista il popolo dei visitatori lungo i vari piani della fiera, fino in cima all’edificio, dove le terrazze offrono tavolini e sedute per rilassarsi e ristorarsi.
A pochi passi da Liste, la Galerie Karin Sutter in Rebgasse 27, propone un singolare take away party. Una festa itinerante che continuerà in giro per la città, per tutta la notte. La giornata, tra arte e gallerie, si conclude al Volkshaus, come ogni sera durante la fiera. Una “casa del popolo”, vecchio orfanotrofio in mattoni rossi ora trasformato in luogo del “dopo lavoro” fieristico. Un ampio giardino per cenare, danceroom per djset, terrazze per consumare un drink, una babele variegata di lingue e personalità. Il posto dove raccontare e confrontarsi, dove incontrare e chiacchierare. Perché Art Basel serve anche, e soprattutto, a questo.
Solo un denso tetto di foglie di fico a separare noi dal cielo stellato di Basilea.


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