ART IS A MEDUSA DI JAN FABRE DI ANTONELLA MARINO

Antonella Marino

TESTO

IMMAGINI

“Art is my home”, l’arte è la mia casa. Nel quadretto finale, con questa scritta sotto la sagoma di un esile paguro che affiora nella fitta texture di segni a biro blu, sta forse la chiave di approccio all’importante mostra di Jan Fabre aperta dal 28 novembre al 28 febbraio a Palazzo della Marra di Barletta (Info: 338.6488905). Il visionario artista belga, geniale interprete di un’arte totale che sconfina tra linguaggi visivi, teatro, filosofia e scienza, torna in Puglia (dopo il Premio Pascali a Polignano nel 2008 e due precedenti incursioni nei castelli di Trani e Monte Sant’ Angelo per Intramoenia Extra Art), come partner diretto del progetto “Watershed” curato da Giusy Caroppo con il sostegno di Regione Puglia e Comunità europea. Ma è un Fabre diverso, che del suo talento multiforme ed estremo in questa “Art is a Medusa” svela il lato più intimo, privato, quasi diaristico, affidato ad una serie preziosa di disegni di piccole ma anche di enormi dimensioni, tratteggiati con ossessione manuale a semplice penna a sfera tra l’87 e il ’92 e appartenenti in gran parte alla collezione personale.

L’arte è qui più che altrove la sua casa, luogo di collegamento con il proprio corpo e le proprie emozioni: come testimoniano le quattro delicate carte più recenti all’ingresso, bagnate delle sue lacrime sopra annotazioni legate a castelli d’area fiamminga. L’atmosfera favolistica, sospesa sul mistero della vita e della morte e sullo scorrere fragile dell’esistenza nelle sue forme naturalistiche e simboliche, si raccoglie nelle prime due sale nell’ immagine del Castello nordico di Tivoli, destrutturato su superfici argentee in una serie di stampe, e completamente rivestito di pannelli di stoffa adesiva colorati a penna in una performance ambientale del ’90, documentata in un video che condensa 24 ore atmosferiche in 4 minuti.  

Animali/armi mutanti, microelementi astrali, insetti vari e omaggi a grandi maestri del passato si susseguono poi alternati a simboli (spade, croci), e immersi in un comune “blu dipinto di blu”; sintesi di un immaginario complesso, che tocca le corde delle metamorfiche meraviglie ma anche delle oscure profondità dell’essere. Dei due registri su cui si declina la ricerca dell’autore, bellezza e orrore, in questo contesto è il primo a prevalere. Difficile pero’, per chi non lo conosca, farsi un’idea più generale di un lavoro che altrove è espresso attraverso grandi installazioni plastiche, scandagliando con attitudine da entomologo (ereditata dal nonno ed evidente nelle sue note superfici iridescenti coperte da migliaia di scarabei) gli aspetti anche più abietti del corpo umano e di una realtà ermetica e metamorfica.

Per il suo riconosciuto valore, nel 2008 Jan Fabre aveva avuto l’onore di “profanare” addirittura le auliche stanze del Louvre. E alcuni “autoritratti” sono presenti al Museo delle Belle Arti di Bruxelles. Chi più di lui poteva dunque inaugurare l’’inedita apertura al contemporaneo di un edificio bellissimo e sottoutilizzato come la Pinacoteca De Nittis? Il connubio tra spazi e decori barocchi sembra del resto ben riuscito. E fa da prologo ad un’ operazione, accennata nell’ultima sala, che Fabre spera presto di condurre in porto in uno dei castelli di Puglia, quello sul mare  Monopoli: l’idea, in cerca di sostegni, è di appropriarsene come nell’ operazione Tivoli, foderandolo di pannelli a bic con un’azione partecipata dalla popolazione che possa estendere il suo io agli altri…


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