BIENNALE 2013: CONFERME LUM A VENEZIA DI ANTONELLA MARINO

TESTO

IMMAGINI

Sogni ed incubi, visioni ed ossessioni, storia e storie… Di questi elementi è intessuta la neo-inaugurata Biennale di Venezia targata Massimiliano Gioni, quest’ anno più bulimica di sempre. Centocinquanta gli artisti del suo “Palazzo enciclopedico”, tra nomi noti (ma non sempre scontati) e personalità ai margini andate a scovare in ogni parte del globo, spessissimo in territori esterni al sistema dell’ arte: con un approccio antropologico che insegue le diramazioni spesso spontanee dell’immaginario, indaga “sulle ossessioni e sul potere trasformativo delle immagini”, annettendo esperienze di disagio psichico, visioni oniriche ai limite del paranormale, annotazioni sciamaniche e apparizioni mistiche, il vastissimo territorio di un’ alterità visionaria e di quanti rincorrono il desiderio, sia pur impossibile, di conoscenza totale e di classificazione del sapere.

L’esigenza di catalogare, archiviare, lasciare appunti di memoria in una affannosa lotta contro il tempo e l’ immensità dello scibile e dell’ universo, percorre in diversi filoni gran parte dei lavori in mostra. Le scelte si collocano coerentemente, privilegiando un taglio espositivo museale che ha il punto di avvio simbolico nel libretto rosso di Jung, esposto qui con il suo apparato di disegni per la prima volta in originale, e i suoi numi tutelari in  Andrè Breton e Rudolf Steiner.

Può piacere o non piacere quest’’apparato di dipinti spontanei, collezioni, reperti folk, temperie naif mescolata a linguaggi più sofisticati. Su un aspetto però non si può non essere d’accordo: lo spessore critico che distingue questa edizione da altre più facili, sciatte o modaiole. L’ operazione di Gioni è ben costruita, seducente e complessa nell’abilità di miscelare vecchio e giovane, elitario e popular, e soprattutto nella messe interessante di racconti, biografie, profili psichici che s’intrecciano con le testimonianze materiali. Molti dubbi però si affacciano sulla sua capacità di proporre una chiave di lettura sul presente e di aprire nuove strade di ricerca per il futuro. Con un sospetto, o meglio  quasi una certezza: che l’operazione funzioni soprattutto come provocazione intellettuale, volontà di scompaginare sentieri artistici troppo political correct. Ma che sia solo l’impianto concettuale e messo su con abilità da Gioni a rendere credibile la presenza di outsiders, autodidatti, sognatori, personalità offlimits, e l’idea di creatività come impulso originario e irrazionale che la supporta (pericolosissima come modello di tanti epigoni dell’ultim’ora). Come a dire che alla fine il vero artista, capace di legittimare questa mostra, è proprio lui…

Considerazioni generali a parte, una menzione speciale meritano le proposte che a Venezia provengono da alcuni protagonisti delle due edizioni del Premio Lum. A cominciare da Rossella Biscotti, pugliese e già finalista nella prima puntata del Premio, tra i pochi italiani che hanno avuto il privilegio di un invito alla rassegna di Gioni. L’ l’installazione doppia esposta all’Arsenale nasce da un confronto diretto con Venezia, dove Rossella ha soggiornato per sei mesi. E’ infatti la traccia finale di un “laboratorio onirico” realizzato all’interno del carcere femminile. Restituito da un lato con un audio mandato ogni giorno alle 16.00 (orario in cui iniziavano gli incontri in carcere), che raccoglie i sogni a volte “normali” altre legati alla realtà carceraria e alla privazione di libertà di alcune detenute. Dall’ altra con una sintesi plastica del luogo, evocato da blocchi geometrici di allure minimale: realizzati, dettaglio non da poco, con composto organico proveniente dal carcere stesso. Un’ operazione forte, dunque, sebbene un po’ sacrificata nell’allestimento, che coniuga  l’ interesse dell’artista originaria di Molfetta per i rapporti tra individuo e istituzioni con la  tematica “autre” del curatore.

Sempre in Biennale, ma questa volta dentro il parterre selezionato da Bartolomeo Pietromarchi per il Padiglione Italia post Sgarbi, troviamo un’altra conferma, Francesco Arena, come la Biscotti divenuto ormai habitué dei grandi appuntamenti dell’arte che conta. Le alte Torri dell’ artista brindisino svettano imponenti e geometriche all’ ingresso del Padiglione, in dialogo ideale con una storica performance di Fabio Mauri. Sono quattro e di larghezze diverse, essenziali strutture in legno riempite però di una quantità di terra equivalente al peso dei cadaveri contenuti nelle fosse comuni di altrettante guerre civili del ‘900: Benedicta, in Piemonte nel periodo partigiano; Polje in Kosovo;  Batajnica in Serbia; Burgos in Spagna. Ancora una volta così storia e memoria sono passate da Arena al filtro del proprio corpo (che fa qui da unità di misura ai caduti). Per essere poi restituite in forma di anti - monumento, politico e altamente simbolico al tempo stesso.

Fuori dalla Biennale ma ben dentro il circuito istituzionale, un’ altra emergente con trascorsi Lum, Chiara Fumai, espone (o meglio si espone) alla Fondazione Querini Stampalia  in qualità di vincitrice del Premio Furla 2013.

Rivelare il meccanismo del suo intervento significa un po’ rovinarne la sorpresa; per quanto nessuna descrizione riesca a rendere merito all’abilità performativa dell‘ artista, barese ora Milano, che si fonda sulla credibilità dei personaggi a cui di volta in volta dà corpo e voce. In questo caso la troviamo nei panni di una serissima guida che ci conduce nelle sale del museo, tra i dipinti della collezione degli Stampalia. Opere di autori anche noti come Pietro Longhi, Giovanni Bellini, Giambattista Tiepolo, tra cui molti ritratti dei membri della famiglia che, guarda caso, annoverano poche figure femminili (ed una sola artista donna). Chiara ce lo fa notare con professionalità, si sofferma soprattutto su queste figure escluse dal potere e dalla storia in una società patriarcale, con dovizia di dettagli storici e biografici. Ogni tanto però un’ identità fantasmatica entra nel suo racconto e si impossessa di lei: esprimendosi col linguaggio muto dei segni che nell’espressione stravolta del volto e del labiale comunica parole e sentimenti di rabbia, esplicite volontà distruttive…. Non tutto è svelato lungo il percorso. La guida si riprende presto da questi momentanei sdoppiamenti e lo spettatore è assalito da inquietudini e dubbi. E’ solo documentandosi a posteriori che si scopre che il misterioso spirito trasfigurante appartiene ad una anonima terrorista italiana anni settanta, e che le sue frasi nascoste sono tratte da intercettazioni della polizia durante gli anni di piombo. Volontà di riscatto al femminile e denuncia anche politica s’intrecciano così in un gioco sottile ed intenso di identità multiple, in cui la violenza verbale incrocia utopie liberatorie che dal privato si estendono alla sfera collettiva.

 

Da segnalare, infine, è un’ iniziativa piccola ma progettualmente provocatoria messa insieme da Caroline Corbetta, già curatrice Lum, in un appartamento privato durante i tre giorni di vernice veneziana. Ponendo il dito nella piaga della scarsa attenzione e ricaduta che grandi eventi come la Biennale hanno quasi sempre sul tessuto artistico delle città ospitanti, ha selezionato un gruppetto di giovani artisti veneti o che a Venezia studiano (tra cui il ”nostro” Thomas Braida) per una mostra autogestita, intima e conviviale. Collegata idealmente all’ esperienza di Caroline col milanese Padiglione Crepaccio (una vetrina che ospita nuovi talenti), l’operazione ha un proseguo anche mercantile sulla piattaforma web di Yoox, la multinazionale di vendita moda online, qui prestata all’arte. E puo’ contare sul supporto comunicativo della rivista Domus e su un padrino d’eccezione del calibro di Maurizio Cattelan….


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