"DJURBERG & BERG IN MOSTRA" di Francesco Brunetti

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"DJURBERG & BERG IN MOSTRA: LA POESIA DELL’OSCENO CHE E’ IN NOI"

di Francesco Brunetti

 

 

Non giunga mai il giorno in cui smetteremo di trovare adorabili quegli artisti che riescono a beffarsi di noi sino al punto di lasciarci credere, noi così pronti a tanto inganno, che vi sia una intrinseca poeticità nel disfacimento dell’oggetto di  natura; da lasciarci accettare l’idea che il tempo sia vincibile, che possa essere scomposto e ricomposto nella forma suprema dell’istante ripetuto, quello che dà vita al movimento generato dal susseguirsi rapido e fotografico delle immobilità plastiche! Adorabili quegli artisti che non sussurrano quando debbono mostrare quanto potente sia l’arte della manipolazione! Piacevole lasciarsi ingannare da loro e dal loro modo di fare poesia con le immagini. Piacevole lasciarsi ingannare  da Nathalie Djurberg & Hans Berg.

“Whales”; “The Prostitute”; “Jag Sisslar Givetvis Med Trolleri”; “Johnny”; “(Untiteled) Trees”; “Didn’t You Know I’m Made Of Butter”; “Turn Into Me”: tre “sculture” in poliestere, spugne, acrilici e stoffe; un cartone animato disegnato con l’uso delle matite-carboncino mosse con tratti espressionistici; tre animazioni in stop-motion di pupazzi in plastilina, paste cerose ed argillose. Queste le significative opere di Djurberg & Berg in mostra, in questo ultimo scorcio del 2012, presso il Museo Pascali di Polignano. In sostanza: lo spettacolo totalmente artistico di una natura assolutamente artefatta che, secondo le regole ferree del turbamento, si ricompone, marcescendo e rigenerandosi infinite volte dinanzi agli occhi dello spettatore, in un esorcismo erotico dove l’eccitamento genera fiamme, la nudità è una visione punitiva,  l’animale si fonde all’umano, lo scheletrico è prodromico alla danza, e dove lo spiaggiarsi del cetaceo sventrato è puro decorativismo mentre lo spiare le forme femminili è un salvifico atto doveroso e collettivo.

Abile la Djurberg nel manipolare la materia, nello scolpire con la plastilina, nel plasmare espressionisticamente la figura delle sue creature sintetiche; fascinoso Berg nel musicare ossessivamente l’angoscia che nasce dal giocoso spettacolo dell’osceno.

Creazione e distruzione, scomposizione e ricomposizione: un fotogramma dopo l’altro. I personaggi animati dei cortometraggi della Djurberg si muovono, tra guazzi coloristici, secondo ritmi musicali spiraliformi ed ossessivi inscenando commedie  grottesche ed orrifiche in un immaginario per nulla dissimile rispetto a quello dei cicli pittorici nordici, o delle allegoriche danze macabre che tante santificate pareti medioevali hanno accolto durante la colorata, raffinata, timorata “età di mezzo” per opera di spesso ignoti maestri concertatori di quella arte sporca e sublime che è il dipingere. La plastilina dei “pupazzi” della Djurberg ha forza pittorica ancor più che scultorea; ed il tratto ha, in alcune sequenze dei suoi film, la stessa ruvidezza emotiva della crosta a sinopia delle pareti benedette delle vecchie pievi o dei cimiteri.

È sublimemente malinconica la civetteria con cui personaggi animati della Djurberg entrano in scena mostrandosi sino al grottesco: l’ossessione per la scarnificazione, il denudarsi violento, e spesso auto-imposto, dei corpi; l’erotismo fatto di sottrazioni carnali che giungono fino all’atto estremo dello smembramento; un sadismo tutto onirico che però, diversamente da quello del vecchio “ospite” della Bastiglia, manca dell’ambizione d’essere il parto esemplare di una perfetta macchina razionale per la perpetrazione dell’orrore sociale. Non c’è “società” che traspaia dalle opere in mostra, ma solo l’individualistico rigurgito ceroso di un “io” femminino masticato, consumato, rimodellato e rinato in morte ed orrore, in sangue e deglutizione, in fuoco e libido.

Assoluta la coerenza tra materia delle opere e loro contenuto narrativo: la malleabilità, la plasticità infinitamente ricomponibile della pasta cerosa e di creta, l’evanescenza cancellabile del carboncino su carta: tutto descrive con efficacia le possibilità narrative della materia artistica votata alla celebrazione grottesca del teatro dei solipsistici orrori contemporanei.

Tutt’uno con le immagini è la musica che si struttura nelle forme di un’ ossessiva cantilena che fa rime ed assonanze tra note battenti sulla medesima corda emotiva: quella del turbamento tumido che nasce dalle paure primigenie e dalla loro componente liberatoria: il femminino inglobante, il buio, il fuoco, la morte, il cibo. Le musiche di Berg sono un controcanto ancestrale, un lamento , un richiamo; segnano il progressivo, magico lasciarsi catturare dello spettatore che viene portato a sentire il ridicolo e l’assurdo, la morte e la rigenerazione.

Abili sicuramente, sadici (nel più artistico e letterario dei sensi!) probabilmente, la Djurberg e Berg: capaci di trasformarci in voyeur dell’orrido, seducendoci e costringendoci ad essere compiaciuti spettatori di questo estremo gioco artistico che è guardare il grottesco della vita che riecheggia infinitamente in noi, la taciuta poesia dell’osceno che neghiamo; ma tutto ciò standocene immobili contemplando filmati raffinati nella sala buia di un museo. Come potersi sottrarre?!

Una mostra sicuramente da non perdere.


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