31.03.2012

Giorgio Andreotta Calò vince il Premio Maxxi

Antonella Marino

TESTO

IMMAGINI

Un breve passaggio al buio lungo uno stretto corridoio, quanto basta per perdere le coordinate spazio-temporali. È poi, come un’epifania, l’apparizione sul muro di un paesaggio capovolto, un’ombra mobile che si raddrizza per terra dentro uno specchio d’acqua. È Prima che sia notte, l’installazione con cui Giorgio Andreotta Calò si è appena aggiudicato il prestigioso Premio Maxxi (consistente nella pubblicazione di una monografia completa), che gli è stato assegnato da una giuria formata da Elena Filipovic del WIELS Contemporary Art Center di Bruxelles, Udo Kittelmann, direttore dello Staatliche Museen di Berlino, Anna Mattirolo, direttore del MAXXI Arte, Jessica Morgan, della Tate Modern di Londra e l’artista Luigi Ontani, con questa motivazione “La sua opera riattiva le connessioni del museo, e del Maxxi in particolare, con la città, con Roma”.
Ebbene, è opportuno sottolinearlo, il lavoro con cui Giorgio si è imposto sugli altri tre finalisti (Patrizio Di Massimo, Adrian Paci e Luca Trevisani), sviluppa un’idea che il trentatreenne artista veneziano, attualmente residente ad Amsterdam, ha elaborato due anni fa per il Teatro Margherita di Bari e che gli era valsa allora la vittoria della prima edizione del Premio Lum. Un’idea semplice ma di grande spessore percettivo ed evocativo: la ripresa su scala ambientale del principio della stenostopia, la camera oscura come procedimento alle origini della fotografa ma anche dell’arte figurativa. Nella ricerca dell’autore, attenta alla relazione fisica tra spettatore e spazio e impegnata in modo politico ma anche poetico a una riappropriazione e trasfigurazione del paesaggio urbano, questo intervento permette di creare un rapporto nuovo tra contesto architettonico e spazio esterno.
A Roma tale aspetto agisce in maniera complessa su due livelli. Da un lato la valorizzazione di una zona difficile del grande museo di Zaha Hadid, una rientranza della galleria 6, in corrispondenza di grandi finestre. Qui Giorgio ha costruito un ambiente autonomo, che reinterpreta la struttura dell’edificio. Dall’altra l’apertura di questo luogo alla città, a un panorama muto e statico che entra letteralmente nel museo anche se forma di labile traccia, precaria e mutevole presenza visibile con variabile definizione solo dall’alba al tramonto. Una riflessione dunque anche “sull’atto e il significato del vedere”, che per un autore nato tra i riflessi acquatici e luminosi di Venezia assume un valore ancora più pregnante.
 


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