Il BAC A BARI: QUALI PROSPETTIVE? Ne parliamo con Vito Labarile

Antonella Marino

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“Bari è una città che merita una piattaforma per l’arte contemporanea? Oggi la Puglia, che è alla ribalta nazionale per il suo patrimonio artistico e ambientale, non pensa che il suo capoluogo debba dotarsi di un struttura capace di inserirla nel circuito artistico internazionale? E perché non nasce un dibattito su questo? Possibile che la città rimanga indifferente? ” Oscilla tra il provocatorio e il progettuale, tra il combattivo e il rassegnato, l’ atteggiamento di Vito Labarile, ingegnere e collezionista, che in qualità di consigliere incaricato del Sindaco per  le arti visive si sta molto impegnando per la realizzazione del progetto “Bac - Bari Arte contemporanea”, un centro internazionale d’arte contemporanea nel Teatro Margherita. Dopo una fase di sperimentazione di circa quattro anni, con l’allestimento di mostre importanti nel cantiere, le luci della ribalta sembrano spegnersi sul teatro. L’attuazione del Bac è in fase di stallo, per il mancato supporto della Regione Puglia. E in mancanza di un progetto alternativo, si rischia di perdere definitivamente l’opportunità di accedere ai fondi comunitari per la ristrutturazione dell’ edificio….
Ingegner Labarile, il progetto Bac su cui tanti avevano indirizzato aspettative, sembra procedere a stento: la Regione Puglia infatti vi si oppone, con motivazioni di volta in volta diverse. Quali sono al momento i punti essenziali di contrasto?
Voglio fare una  premessa: io ho accettato l’ incarico di consigliere incaricato per le arti visive del sindaco Emiliano, che svolgo a titolo completamente gratuito e disinteressato, perché credo fermamente che l’arte crei sviluppo, intrapresa economica e sociale. Ho voluto regalarmi un’ esperienza “politica” mettendo a disposizione l’esperienza che ho maturato nel mondo imprenditoriale, e come tale ho occupato la casella che mi è congeniale: quella del manager culturale, utilizzando altresì la mia sensibilità in campo artistico che è maturata nel mio ruolo di collezionista. Così ho cercato di avviare un discorso pubblico: prima in qualità di consigliere  delegato della Lum, un’ università privata che ha avuto il grande merito di capire l’importanza dell’arte contemporanea all’interno di un rinnovato sistema di comprensione della realtà. Poi per il Comune. Ho cercato di riattaccare la spina dell’arte contemporanea ad una città che aveva dimenticato l’importanza di un modello culturale in cui l’arte contemporanea ha un ruolo centrale. L’obiettivo era creare una nuova consapevolezza, cercare di far comprendere come l’arte sia un fattore galvanizzante delle dinamiche trasformative di un territorio.  Da questo punto di vista il Premio Lum è stato un laboratorio che ha prodotto risultati ampiamente riconosciuti a livello nazionale, e non solo. Il sindaco di Bari ha intercettato questo percorso e mi ha chiesto di attivare un percorso che avesse come obiettivo la realizzazione di un’industria culturale di settore: un museo pensato come centro di produzione di Arti contemporanee integrato da un polo formativo, ossia una Kunsthalle come centro di eccellenza che fa ricerca  e formazione per giovani artisti e crea attrattività per il territorio, mettendo in relazione talenti locali  e talenti esterni. C’‘è un solo modo per supportare e valorizzare un processo di crescita di un artista locale: metterlo in collegamento con progetti curatoriali  di provenienza esterna. L’ impresa ha scontato un approccio sistemico: tutti gli asset che compongono il sistema industriale sono stati sviluppati, coinvolgendo refering di assoluto valore professionale. Intorno alla  missione culturale, l’assetto organizzativo - gestionale, quello giuridico e finanziario, museografico e architettonico, si sono confrontate personalità competenti.  Inoltre è stata individuata una location, il Teatro Margherita, per cui è stato studiato un progetto museografico coerente con la missione culturale. Questo progetto industriale e architettonico ha prodotto due spin off: oltre l’adeguamento funzionale della location, il progetto del soggetto gestionale, ossia una fondazione a modello partecipativo pubblico/privato, e  il progetto architettonico. Tutto ciò  ha scontato un percorso di sperimentazione, con un ciclo di grandi mostre, i cui  risultati sono sotto gli occhi di tutti: oltre 120.000 visitatori!. Questa fase di sperimentazione e di ideazione è stata condivisa con un soggetto privato di assoluto spessore come la Fondazione Morra Greco, una fondazione no profit partecipata dalla Regione Campania, per rendere coerente lo start up dell’impresa con il suo esito finale.
Quali sono allora secondo lei le ragioni per cui la Regione si sta opponendo al progetto?
Il progetto sta oggi subendo un rallentamento vistoso per ragioni solo ed esclusivamente di natura politica. Tanto è vero che le obiezioni sono tutte di carattere squisitamente strumentale e non scontano un confronto tecnico serio. Per esempio sono state fatte critiche alla location. Ma com’è possibile questo, quando il tema  oggi essenziale passa attraverso la questione della rigenerazione urbana? Il Margherita, assieme al Mercato del Pesce e alla Sala Murat, costituisce un compendio immobiliare che rappresenta un grande capitale fisso sociale, e va recuperato! Si è parlato al suo interno  di umidità, ma per questo c’è la scienza delle costruzioni e la fisica termica che ci consentono di risolvere problemi di tale natura. Si è anche detto che il Margherita è piccolo per un museo del genere. Questo contenitore misura oltre 5.5000 mq, tra spazi espositivi e di sevizio, e se si considera che l’ex Mercato del Pesce misura oltre 2.000 mq mentre la Sala Murat 700 mq, l’intera superficie del Bac  supera gli 8.000 mq. Sono standard europei, e i tre edifici realizzano un’importante centralità urbana, che si colloca al centro dei grandi itinerari storici e turistici della città!
 Le perplessità della Regione riguardano anche il modello di  gestione, con la presenza di un collezionista privato …
Sul tipo di gestione  si può  aprire un dibattito. I modelli che si fronteggiano  in questo campo sono sostanzialmente tre: il modello interamente pubblico, quello privato e quello pubblico-privato. Il primo oggi si applica solo ai grandi musei di stato. Questa è invece è un’ industria culturale che deve essere sostenibile. La sostenibilità cosa significa? Un’ industria culturale per funzionare ha bisogno di un fondo patrimoniale e di una collezione. Non penso sia possibile una politica  museale senza una politica collezionistica. E come si  costruisce una collezione? Ci vorrebbero un sacco di soldi, e molti decenni per formarla ex novo. Nel modello pubblico-privato si stabilisce cosa mette il pubblico e cosa mette il privato. I privati sono collezionisti e donners, coloro che danno apporti ai fini di un buon funzionamento dell’industria culturale. Naturalmente devono essere collezioni coerenti con la missione culturale del museo e vanno ricercati attraverso procedure improntate a massima trasparenza.  Nel progetto Bac sono previsti un comitato scientifico di assoluto rilievo e un direttore artistico di grande esperienza nominato sempre con procedure ad evidenza pubblica.  La presenza di Morra Greco fin dall’inizio dell’intero processo rappresenta un elemento validante del percorso e dell’obiettivo. In questa fase è stato sviluppato uno studio di fattibilità che ha definito l’ architettura organizzativa dell’industria culturale: quindi un progetto di statuto e un progetto d’impresa che definisce fatturato e deficit spending. Il modello della Regione invece non è ispirato al rapporto  pubblico-privato, ma ad un pubblico che opera solo con risorse pubbliche. Ma questo pone il problema della sostenibilità. Io trovo legittimo che la Regione  possa opporsi alla realizzazione di un progetto. Però vorrei che venisse messo un campo un progetto alternativo.  E’ dovere di chiunque  contrappone ad un progetto che non si condivide un’alternativa convincente. La vera querelle è però di natura ideologica, in quanto i due livelli che si contrappongono sono tra loro inconciliabili: il primo, quello regionale, si fonda solo sul pubblico, pone al centro della sua azione i formatori; il secondo, quello del Comune, è aperto ai privati, e pone al centro della sua funzione i formandi, che sono tutti coloro a cui è diretta la missione culturale e formativa del museo.
Mentre si discute, non c’è il  rischio ormai concreto che venga persa  l’opportunità di accedere ai finanziamenti europei con i fondi Poin? Quali sono le scadenze ultime?
II problema è serio. I finanziamenti vengono dati su progetti e i progetti devono avere un carattere di cantierabilità entro la fine dell’anno: il progetto Bac ha questi requisiti.
Dall’’ultimo incontro, sembra si sia emerso però un possibile compromesso, con la realizzazione di un “centro per le arti” che includa anche teatro e performance…
Sono  dei compromessi che assomigliano più a degli armistizi. In questo caso l’effetto è di produrre ancora un rallentamento. Noi alla Regione  abbiamo offerto di destinare uno spazio importante all’interno del Margherita ad attività artistiche frutto di contaminazione tra più generi artistici, rafforzandone la vocazione polisettoriale, ma sempre nel campo della produzioni artistiche. Se qualcuno pensa però’ di recuperare la funzione specificamente teatrale lo dica chiaramente, perché questa esclude il resto. Ma, ribadisco, presenti un progetto, culturale, scientifico ed economico. A questo punto sorge un’altra domanda: e la sostenibilità? Come si sostiene un progetto interamente pubblico? Il progetto per un centro di produzione in campo artistico, che manca ed è di fatto classificabile come grande attrattore culturale, può trovare finanziamenti per l’adeguamento funzionale dell’ immobile? O ci siamo dimenticati che il Margherita è ancora un cantiere, ha bisogno ancora di un terzo lotto di finanziamento?  Questi finanziamenti esistono nel contesto normativo attuale. Voglio sapere se esistono per finanziare l’adeguamento funzionale di un altro dei tanti teatri. Vorrei inoltre conoscere in questo caso qual è il progetto di gestione e chi lo sostiene sia sul fronte infrastrutturale sia su quello gestionale. Questo film io l’ho già visto: sbaglio o la Soprintendenza in questa direzione nel passato ha proposto un appalto di costruzione e di gestione che è andato deserto per ben tre volte?
Intanto ad ottobre scadono i termini per perfezionare il passaggio definitivo del Teatro Margherita dal Demanio al Comune: come intendete procedere?
Il Comune è intenzionato a chiudere l’operazione. Il progetto, rimodulato in chiave interdisciplinare, deve essere sottoposto alla Soprintendenza. Il suo compito è quello di verificare la salvaguardia del vincolo architettonico rispetto all’attività proposta. Nel progetto Bac si è sempre pensato di salvaguardare l’architettura, con un intervento invasivo solo nella torre scenica, che è un ambente tecnico. La scelta che il Comune ha fatto per venire incontro alle richieste regionali è la rinuncia all’emergenza architettonica nello spazio centrale, ossia la grande scala prevista dall’architetto David Chipperfield: si trattava comunque di una proposta legata ad uno studio di fattibilità. Se il progetto dovesse essere finanziato non c’è dubbio che tutte le fasi successive,  tecniche e realizzative, non potranno che seguire procedure ad evidenza pubblica.
In caso di mancato accordo finale con la Regione, e dunque anche di mancato sostegno politico-economico, come potrebbe procedere il Comune? Rinunzia ai suoi progetti? Esistono alternative praticabili per la ristrutturazione del teatro Margherita ?
Progetti alternativi sono possibili. Cerchiamo però di esprimere un approccio fiducioso nei confronti della Regione, con cui speriamo ancora di potere ragionare. D’altra parte nel progetto  BAC erano previsti molteplici  eventi, tra  mostre, residenze,  processi formativi,  educativi, con copertura parzialmente pubblica e parzialmente privata. A fronte di un calcolo attendibile che un’ industria culturale di questo tipo produce un ritorno per l’economia cittadina di cinque milioni di euro l’anno, è previsto un deficit spending di un milione e mezzo, di cui 900 a carico delle istituzioni e 600 dei privati. Come può la Regione dire che questa impresa non è sostenibile, mentre spende tante risorse per tanti eventi in campo artistico, musicale e altro, o per un centro museale come il Museo Pascali?
A proposito della Fondazione Pascali, che a giugno ha inaugurato la nuova sede a Polignano, lei si è espresso in maniera molto critica. Può chiarirci le motivazioni del  dissenso?
Le mie obiezioni a questo fantomatico centro d’arte sono  legate all’assoluta incoerenza tra quello che si annuncia e quello che si fa. Questo è un museo che assorbe tante risorse, sia in contributi diretti al funzionamento della fondazione, sia in contributi indiretti per il finanziamento delle mostre attraverso il ricorso a fondi europei. Ma se il museo si richiama impropriamente ad un nome così importante, si deve almeno poter pretendere che si occupi, ad esempio, della produzione di Pino Pascali in maniera seria, rappresentativa, accreditata e riconosciuta. Perché non avvia un catalogo ragionato completo della sue opere? Ciò non avviene, perché tutto si svolge dentro una visione familistica e provinciale. Io devo poter pretendere, come qualunque altro cittadino, che in questa istituzione pubblica  il direttore artistico sia individuato attraverso una procedura selezionata e che essa abbia un esito coerente con le intenzioni annunciate. Non è tollerabile che si annunci la presenza di una collezione permanente composta anche da opere di artisti familiarmente legati all’attuale direttore artistico. Tutto ciò riduce il rango di questo museo a mera istituzione locale, che però utilizza risorse importanti oltre che pubbliche.
La questione BAC si è intrecciata ad un certo punto con la questione dell’area della ex caserma Rossani, da riconvertire anche in chiave urbanistica.  Il Comune ha proposto la creazione di un hub creativo, da affiancare al Margherita. Anche su questa visione progettuale le posizioni divergono. La Regione sembra voler privilegiare la Rossani come area della creatività escludendo dai suoi finanziamenti il Teatro.  Anche in questo caso gli ultimi rumors parlano di un “patto per Bari” che sarebbe stato stipulato fra Emiliano e Vendola, che comprenderebbe anche un’intesa sui punti controversi. Qual è ad oggi la situazione reale? Quali sono in concreto le sue idee circa la destinazione degli spazi chiusi e aperti della Rossani? 
Il  Comune ha deliberato un atto di indirizzo nel quale si delinea un sistema dell’arte per la città che sostanzialmente poggia su due poli: il polo del contemporaneo, coincidente con il Museo d‘arte contemporanea strutturato tra Margherita, Mercato del Pesce e Sala Murat, ed un hub creativo alla Rossani dove attraverso il solo recupero delle architetture esistenti si andrebbe a strutturare un polo delle gallerie, degli artisti, e di tutti quei soggetti che popolano questa galassia produttiva:  galleristi, fotografi, esperti di nuove tecnologie, intorno ad un polo formativo rappresentato dall’Accademia di Belle Arti con la sua nuova sede. Se localizzi nello stesso posto tutti questi soggetti, crei industria creativa  produci un nuovo sistema di relazioni tra i cittadini. Il Comune sta pensando di avviare il processo di riconversione di quell’area attraverso un laboratorio urbano. In ogni caso oggi la Rossani fa parte del progetto di un concorso internazionale ufficialmente bandito per la riconversione del perimetro delle aree interessate dal nodo ferroviario della città di Bari. La Regione invece ha più volte ha parlato di un museo d’arte contemporaneo alla Rossani. Perché allora non mette in campo un progetto nuovo, sempre all’interno di un’ottica di sostenibilità che preveda il reperimento delle risorse necessarie per la sua realizzazione e  gestione?
Un’ ultima cosa: dopo la realizzazione della mostra sull’Arte Povera, il Teatro Margherita è chiuso e attualmente appare in stato di abbandono. A prescindere dall’esito della operazione Bac, sono previste per la stagione 2012-2013 nuove iniziative? Il Comune ha predisposto una programmazione di mostre o altri eventi? 
Non ho nessuna a difficoltà a dire che anche in questo il mio entusiasmo si è affievolito. Per me la fase di sperimentazione è  finita. Forse potremo pensare ancora all’utilizzo del teatro per altre mostre, ma il mio interesse è oggi significativamente diminuito, perché il livello di ingenerosità e di strumentalità  che si è scaricato su queste vicende è veramente enorme. Il Comune aveva innescato un approccio organico al problema, ma la città sembra distratta, così come è distratto il mondo dell’arte locale, artisti, curatori, e quant’altri ne fanno parte. Perché la situazione cambi, bisogna uscire da un localismo inconcludente e improduttivo,  coltivando un’idea di generosità. Il che significa rimuovere i propri personali interessi, i piccoli obiettivi, per raggiungere un’ ambizione molto più alta e collettiva: la realizzazione di un vero attrattore culturale, un  museo moderno che contribuisca ad internazionalizzare  una città come Bari, oggi senza offerta museale e renderla attrattiva per turisti, visitatori, studiosi, cittadini tutti…


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