JIMMIE DURHAM, BARI AND FRIENDS. CONVERSAZIONE CON MAURIZIO MORRA GRECO

Antonella Marino

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Jimmie Durham, Bari and friends. Conversazione con Maurizio Morra Greco.

di Antonella Marino

Dopo l’esordio al Palazzo Reale di Napoli sotto l’ egida del Museo Madre, la mostra di Jimmie Durham “Wood, stone and friends” è approdata a Bari, al Teatro Margherita, col sostegno del Comune. Una destinazione dovuta, visto che il progetto iniziale era nato proprio in Puglia. Suo promotore, organizzatore e trait d’union nello scambio tra le due regioni è Maurizio Morra Greco, che con l’artista nativo-americano, attualmente a Berlino ma in procinto di trasferirsi a Napoli, ha da anni un rapporto di profonda amicizia.

Di professione dentista, Morra Greco appartiene a quella tipologia di collezionisti che considera l’arte non solo un bene di investimento ma un’attività con una responsabilità  sociale. La sua Fondazione promuove infatti attività espositive e formative aperte al territorio, e ha stipulato un accordo col Comune di Bari per la nascita del Bac, un’ istituzione stabile per l’arte contemporanea all’interno del Margherita a partecipazione pubblico-privata, attualmente in fase di stallo. Ma della mostra e della situazione barese, è lui stesso a parlare. 

Partiamo dall’ esposizione di Jimmie Durham, di cui sei promotore e curatore. Inizialmente si era pensato di produrla a Bari. Durham ha soggiornato con te in Puglia diverse volte e dalla Puglia provengono i due grandi tronchi di ulivo che introducevano il percorso napoletano e grandeggiano ora sotto la cupola d’ingresso del Teatro Margherita, Per cominciare, com’è nato il progetto?

L’idea nasce quando sembrava che a Bari ci fosse volontà di fare una programmazione seria per l’arte contemporanea. Io conosco Durham da tempo, e mi era parso che la sua poetica fosse ideale per il contesto pugliese. Durham è un nativo americano, un uomo cresciuto con una cultura fortemente legata alla natura, al vento, al sole, alle piante. Elementi che caratterizzano anche questa regione. Durham ne era entusiasta. Così un paio di anni fa abbiamo trascorso una settimana insieme in Valle d’Itria. Siamo andati in giro per le campagne e Durham ha raccolto legni, pietre. Il Teatro Margherita appariva la cornice ideale per accoglierli. Poi pero’ la macchina amministrativa si è inceppata, la mostra a Bari non si è potuta fare più. Per cui abbiamo deciso di spostarla a Napoli: anche se, devo dire, di questo Durham era molto deluso.

L’ impianto espositivo è rimasto lo stesso?

Nella versione a Palazzo Reale il progetto ha un po’ cambiato fisionomia, ai frammenti di ulivi secolari si sono aggiunti reperti di altre regioni. La centralità del legno è rimasta però  un elemento peculiare, associato alla pietra lavica e a vecchi tavolini recuperati presso rigattieri campani. Il titolo d’altra parte allude al nostro rapporto di amicizia, ed è un  richiamo all’avventura pugliese avviata insieme.

Il dirottamento della mostra a Napoli presumo sia stato causato da mancanza di fondi adeguati e da rallentamenti del progetto Bac. La riapertura del Margherita dopo mesi di inattività è il segnale che qualcosa si sta sbloccando?

Sinceramente non ho certezze, sebbene si sia riaperto un canale di collaborazione col Comune di Bari. Per quanto io sappia il protocollo di intesa con la fondazione Morra Greco rimane comunque ancora in piedi. C’è stato però un lungo momento di stand by.

Forse anche a causa di fraintesi da parte della Regione, si è voluto interpretare la nostra presenza in modo strumentale. Basta leggere il testo invece per capire che si sta cercando di fare un’operazione culturale di ampio respiro e di nessuna presa di vantaggio.                                                

Come valuti le prospettive per l' arte a Bari, e in che termini credi si possa pensare ad uno scambio intermeridionale sull' asse Bari/Napoli (o Napoli/Bari)?

La prospettiva di un ponte interregionale era alla base stessa del progetto Bac. Non certo in un’ottica di colonizzazione, come qualcuno, non so se in cattiva fede, ha inteso. Bensì con l’ obiettivo di allargare la piattaforma culturale, per far crescere delle strutture ancora più solide. Un po’ malignamente si è invece pensato che si volessero esercitare manovre strane, nell’interesse di una parte. Invece c’era solo un sanissimo principio di alleggerire la base di intesa e creare un dialogo tra due regioni contigue, con radici culturali comuni. Con questa mostra del resto la Fondazione Donna Regina prende parte all’iniziativa. Il  progetto mette cioè in gioco anche il Museo Madre.

Alcune difficoltà del progetto Bac mettono in discussione il peso del privato all' interno di un progetto a valenza pubblica. Alla luce della più generale situazione di crisi dei musei italiani, quali credi possano essere le corrette modalità di interazione tra pubblico e privato? 

In un momento di floridezza economica ti avrei detto che questo modello era importante. Oggi, nella situazione di crisi in cui ci troviamo, mi sembra addirittura necessario. Non è solo il problema di apportare capitale, ma anche un modo di gestire le cose con metodi manageriali. Bisogna però rimuovere una serie di resistenze: il pubblico pensa che il privato voglia lucrare e il privato teme la burocrazia del pubblico. La soluzione è una joint venture in cui si mettano insieme le qualità dinamiche del privato e l’allure delle istituzioni. Se poi si pensa che per un museo sia importante la presenza di una collezione, l’ingresso di collezionisti privati può consentire di bruciare anni di spese, spesso impossibili…

Nella situazione italiana sta assumendo sempre più rilevanza il ruolo del collezionista non più come semplice prestatore di opere, ma con diretto protagonismo. Che pensi del fenomeno? Puoi citare la tua esperienza diretta? 

Ci sono diverse tipologie di collezione, vari modi di fare. C’è un modo statico, di tesaurizzazione delle opere, e uno più dinamico e politico, che si preoccupa di far fruire agli altri i propri lavori. Io appartengo a questa categoria, che ha ben chiara la funzione sociale della collezione. Per questo ho costituito una Fondazione e condiviso un progetto con la regione Campania: la fondazione fa politica culturale con una sponda regionale, è infatti partecipata da questa Regione al 50 per cento. 

In Puglia, a Ceglie Messapica, tu possiedi proprietà con spazi interessanti. Hai in mente qualche iniziativa personale per l’arte in quell’ambiente?

Per me la Puglia è innanzitutto uno straordinario luogo di vacanza, e in questa chiave ho considerato l’ acquisto. Lo ribadisco: l’unica istituzione proiettata all’esterno secondo me può essere nel Teatro Margherita. Speriamo che la mostra di Durham, per la quale Bari rappresenta uno sbocco naturale, dia un contributo a sbloccare la vicenda!


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