UN OSSERVATORIO INTERNAZIONALE A BARI: IL PROGETTO DI MASSIMO TORRIGIANI

Antonella Marino

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E’ la persona giusta al posto giusto. Con una decisione a sorpresa l’assessore alla cultura del Comune di Bari Silvio Maselli ha tirato fuori dalla manica il suo asso di denari che mette a tacere le perplessità della vigilia per una procedura di nomina senza bando, renzianamente disinvolta nel suo piglio decisionale. Sarà Massimo Torrigiani a dirigere il neonato Polo dell’Arte Contemporanea della città di Bari, nella sua iniziale e parziale configurazione dentro la Sala Murat (in attesa dei lavori di restauro del Teatro Margherita e dell’ex Mercato del Pesce che dovrebbero partire a gennaio). L’ incarico, della durata di tre anni con rinnovo annuale, prevede un compenso di 37.000 euro e un budget per le mostre di 150.000 euro all’anno. Mentre la gestione dello spazio sarà assegnata con bando ad un soggetto privato. Qualcosa si muove dunque, in direzione di una tanto attesa programmazione stabile per l’arte. Sulla qualità delle proposte che verranno non dovrebbero del resto esserci dubbi: Massino Torrigiani -  cuore barese e prestigioso curriculum internazionale (per due anni ha diretto la Fiera di Shangai e attualmente e a capo del comitato scientifico del Pac di Milano. In Puglia ha poi partecipato alla I edizione del Premio Lum) – ha una formazione sofisticata, che spazia dalle politiche culturali al campo sfrangiato delle arti visive, moda, musica, fotografia...

La sua nomina è ancora fresca, ma c’è già qualche idea precisa sulla programmazione della la Sala Murat?

Parlare di “programma” è prematuro. Per ora abbiamo ipotizzato due mostre l’anno e una serie di attività altre, progettuali, oltre alla disponibilità ad ospitare proposti da associazioni o istituzioni. La Sala Murat ha l’ambizione di diventare un osservatorio sulle tendenze dell’arte contemporanea internazionale: sia per avvicinare i baresi ai linguaggi più nuovi dell’arte contemporanea sia, in qualche modo, come offerta dei forestieri di passaggio. Ma vuole anche essere il laboratorio nel quale si possono mettere a fuoco e definire le linee guida che dovranno governare il progetto più ampio del Polo del Contemporaneo, che comprenderà Teatro Margherita ed ex Mercato del Pesce.

Come pensa di relazionarsi al mondo dell’arte locale?

Una delle prime cose che farò prima di affrontare la programmazione della Sala Murat - che per quanto relativamente piccola richiede per la sua natura di progetto pilota, pensiero e riflessione - sarà mettermi in ascolto. Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, ascolterò gli artisti, i curatori, i critici, i giornalisti, quelli che si occupano di arte e cultura in città. Perché e fondamentale che io abbia chiara una costellazione di interessi, sia in chiave culturale che di stakeholders. Con il sindaco Antonio Decaro e l’assessore Maselli condivido l’idea che oggi qualsiasi progetto, anche lontano dai centri di produzione e consumo di arte e cultura, sia centrale. Non esistono più centri e periferie, ed ogni azione nasce ed è per natura cosmopolita, perché s’inserisce in una serie di interconnessioni. Quindi per la Sala Murat immagino di lavorare un po’ a cerchi concentrici, iniziando a connettere al progetto tutte le realtà locali che operano nelle arti visive e per la cultura contemporanea. Poi, visto che sarà il progetto più ambizioso e più centrato sull’arte contemporanea della regione, non potrà che diventare anche un punto di riferimento per iniziative regionali. Succedono tantissime cose in Puglia, ma spesso sono tutte singole, sparpagliate e poco connesse tra di loro. Credo che la Sala Murat, anche perché sicuramente ci doteremo di un sito Internet, possa fungere da amplificatore di esperienze sparse, una delle quali ho il privilegio di dirigere a Gagliano del Capo. Infine l’idea è di connettere subito il progetto al mondo più ampio che è là fuori, e far confrontare quello che faremo qui con le esperienze più interessanti in giro per il mondo.

Dovrà fare i conti anche con inevitabili pressioni, critiche e protagonismi…

A Bari c’è molto di quello che fa una città culturalmente attiva e alle volte c’è anche un’energia molto mediterranea, sulfurea, che mettere tutti contro tutti o crea gruppuscoli o piccole frizioni. Ma la considero anch’essa una fonte di vitalità per il progetto che ci accingiamo a cominciare. D’altra parte contemporanea si svolge tra interferenze, rifrazioni, alle volte incomprensioni, arrabbiature, rifiuti, negli interstizi tra diverse discipline, tra mezzi diversi di comunicazione di condivisione e di scambio ed è in questo “tra” che inizieremo a lavorare anche con la Sala Murat. Qui ci sono gallerie private, riviste, etichette discografiche, festival, musei di arte antica, progetti per il cinema, case editrici, una vita accademica vivissima che tra Università, Accademia di Belle Arti, Politecnico esprime dei progetti molto interessanti. Per questo il processo iniziale di ascolto sarà fondamentale. E’ una fase che dovrà comunque essere breve, perché poi dobbiamo agire: ci siamo prefissati infatti di realizzare la prima mostra già a luglio di quest’anno.

Avete scartato l’idea di costruire una Fondazione e si porrà il problema di conciliare direzione artistica e gestione privata. Da questo punto di vista fate riferimento a dei modelli già esistenti?

Ci sono diversi modelli. E ovvio che, almeno per questi tre anni, pensiamo ad una struttura leggera che farà a capo a me e al team che lavora con me a Milano. Secondo me la questione è inventarsi un luogo nuovo, che prenda del buono da istituzioni diverse in giro per il mondo. L’importante e equilibrare gli ingredienti e fare in modo che tutto sia coerente. Anche per questo il progetto dovrà dialogare con la Sala Murat e fare in modo che, a regime, i tre spazi abbiano funzioni diverse tra loro. Sarebbe comunque presuntuoso definire ora i dettagli. In realtà è un processo in cui siamo tutti coinvolti e che, lo ribadisco, deve fare tesoro dell’ ascolto.

Massimo Torrigiani, la sua   nomina è ancora fresca, ma c’è già qualche idea precisa sulla programmazione della la Sala Murat?

Parlare di “programma” è prematuro. Per ora abbiamo ipotizzato due mostre l’anno e una serie di attività progettuali, oltre alla disponibilità ad ospitare proposte di associazioni o istituzioni. La Sala Murat ha l’ambizione di diventare un osservatorio sulle tendenze dell’arte contemporanea internazionale: sia per avvicinare i baresi ai linguaggi più nuovi, sia, in qualche modo, come offerta per i forestieri di passaggio. Ma vuole anche essere il laboratorio nel quale si possono mettere a fuoco e definire le linee guida che dovranno governare il progetto più ampio del Polo del Contemporaneo, che comprenderà Teatro Margherita ed ex Mercato del Pesce.

Come pensa di relazionarsi al mondo dell’arte locale?

Una delle prime cose che farò, sarà mettermi in ascolto. Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi ascolterò gli artisti, i curatori, i critici, i giornalisti, coloro che si occupano di arte e cultura in città. Non esistono più centri e periferie, ed ogni azione nasce ed è per natura cosmopolita, perché s’inserisce in una serie di interconnessioni. Quindi per la Sala Murat immagino di lavorare un po’ a cerchi concentrici, iniziando a connettere al progetto tutte le realtà locali che operano nelle arti visive e per la cultura contemporanea. Poi immagino che il progetto possa diventare anche un punto di riferimento per iniziative regionali. Succedono tantissime cose in Puglia, ma spesso sono poco connesse tra di loro. Credo che la Sala Murat, anche perché sicuramente ci doteremo di un sito Internet, possa fungere da amplificatore di esperienze sparse.

Dovrà fare i conti anche con inevitabili pressioni, critiche e protagonismi…

A Bari c’è molto di quello che fa una città culturalmente attiva e alle volte c’è anche un’energia molto mediterranea, sulfurea, che mettere tutti contro tutti o crea gruppuscoli i o piccole frizioni. Ma la considero anch’essa una fonte di vitalità per il progetto che ci accingiamo a cominciare.

Qui ci sono gallerie private, riviste, etichette discografiche, festival, musei di arte antica, progetti per il cinema, case editrici, una vita accademica vivissima, che tra Università, Accademia di Belle Arti, Politecnico esprime dei progetti molto interessanti. Per questo il processo iniziale di ascolto sarà fondamentale anche se breve: ci siamo prefissati infatti di realizzare la prima mostra già a luglio di quest’anno.

Avete scartato l’idea di costruire una Fondazione e si porrà il problema di conciliare direzione artistica e gestione privata. Da questo punto di vista fate riferimento a dei modelli già esistenti?

Ci sono diversi modelli. La scommessa è però inventarsi un luogo nuovo, che prenda del buono da istituzioni diverse in giro per il mondo E ovvio che, almeno per questi tre anni, pensiamo ad una struttura leggera e in progress. L’importante è equilibrare gli ingredienti e fare in modo che tutto sia coerente. Sarebbe comunque sbagliato e presuntuoso definire ora i dettagli. E’ un processo in cui siamo tutti coinvolti e che, lo ribadisco, dovrà anche fare tesoro dell’ascolto.

 

 


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