UN PO’ DI PASCALI ANCHE NELLA COLLEZIONE ANDREWS. DI A. LOZITO

Alessandra Lozito

TESTO

IMMAGINI

Il genio immortale del grande artista pugliese Pino Pascali continua a ispirare curatori e collezionisti: ne è dimostrazione l’ultima mostra inaugurata sabato scorso 2 marzo nei nuovi spazi dell’omonima Fondazione Museo di Polignano. Le opere esposte provengono dalla cospicua raccolta privata di Douglas Andrews, affabile e spiritoso collezionista americano nato in Virginia e residente ormai da anni a Santa Marinella, nel Lazio. “Uno sguardo sul mondo. Opere da una collezione privata” è una mostra emozionante, ben articolata e ricca di spunti interessanti. Presenta una selezione di trenta lavori che Andrews, coadiuvato dall’inseparabile collaboratrice Mary Angela Schroth e dall’amico architetto e designer Guido Orsini, ha ritenuto in linea con aspetti artistici, progettuali o concettuali dell’arte di Pascali.

Nell’ottobre del 2012, come ci racconta lui stesso, Douglas visita spontaneamente il suggestivo museo sul mare, ex mattatoio comunale, e resta ipnoticamente affascinato dalla magia dello spazio, dal suo profondo legame col mare e con la memoria dell’artista di Polignano scomparso l’11 settembre 1968. Decide così di aprire al pubblico parte della sua inedita collezione: la sala principale del museo ospita, dunque, l’installazione Desempoladeira costituita di una piramide di pialle in legno colorate del brasiliano Marepe (Marcos Reis Peixoto, San Antônio de Jesus, 1970), la calza/maschera Pedale Achille (Easter Island) di Paolo Canevari del 1993, i due grandi buchi neri in feltro (Que Sepan Todos) opera del 2007 del venezuelano Arturo Herrera, omaggio alle celebri pozzanghere di Pascali e, al centro, con grande ‘presenza scenica’ l’ Escape Vehicle (1996-7) di Andrea Zittel completato da Andrews con un lavoro fotografico del 1995 di Guido Orsini.

Proseguendo nelle altre sale incontriamo il gigante Inflatable Balloon Flower (Yellow) opera del 1997 di Jeff Koons di cui è presente una seconda opera Bread with Egg 1, 2 e 3, del 1995, libera interpretazione della nota ‘scarcella’ pasquale pugliese.

 Uno dei primi lavori entrati nella collezione Andrews, l’olio su tela Suitcase (1990) di Donald Baechler colpisce per le dimensioni del soggetto, una grande valigia disegnata nei sui tratti essenziali quasi infantilistici, come anche fuori misura e teatralmente “pascaliani” risultano i grandi fiori blu protagonisti delle due stampe fotografiche del 2002 del brindisino Giuseppe Gabellone.

Andrews interviene fisicamente nell’opera di Tom Sachs del 1997, sparando –sotto la supervisione dell’artista- al Telephone Book della città di New York: dell’atto vengono esposti in mostra sia l’elenco impacchettato e “ferito”, sia la cartuccia stessa utilizzata, immediato richiamo all’interesse di pascaliana memoria per il mondo delle armi.

Di grande suggestione lo spazio teatralmente allestito con i due interventi di William Kentridge, artista sudafricano che si esprime attraverso tecniche multimediali contaminate da disegni, sculture, incisioni, animazioni, teatro. La video-scultura in mostra “Sleeping on Glass” (1999), con i relativi disegni su grande scala, presenta uno dei suoi primi film di animazione che, attraverso una cassettiera, comunica un’intima sensazione di privacy. Si avvertono gli echi di un’ossessione per la storia politica e sociale propria di Kentridge per il suo paese, oltre che per la triste vicenda delle vittime dell’apartheid.

Presenti anche due interventi (Newspaper 1, 2, 3 del 1992 e Door del 1988) di Robert Gober –scultore americano classe ‘54- vicino alla pratica pascaliana del riuso di oggetti incontrati casualmente e riassemblati in una nuova veste e funzione. Di una porta si tratta anche nel caso della scultura di Elmgreen & Dragset del 2001: Powerless Structures Fig. 129 (corner door), dove la porta diventa metafora di difficoltà e impotenza di ciascuno di noi rispetto alla società e ai suoi sistemi.

Irriverente, provocatoria e triviale, la “cattiva ragazza” Sarah Lucas viene qui inserita con due lavori: il cagnolino Coco  (2005) ricoperto di mozziconi di sigarette e il calco in poliuretano di un elegante water, The Old in Out (1998). Il tema delle armi e della violenza torna nei due lavori dell’americano Robert Back  -Roses are Red, Violence is Too del 2006 e Glove Skinning (Black as Black) del 2004, mentre l’alveare (Favo, 2009) e l’ Osso rotto (1997) di Jessica Carroll, nata a Roma nel 1961, rimandano a tematiche animiste o mitologiche già esplorate dallo stesso Pascali.

Appaiono intrise di profonda malia e ‘bagnate’ da una luce quasi spirituale le opere dell’artista di origini islandese Olafur Eliasson, Homage to P. Schatz (2012) e The Path Series del 1999, raccolta di opere fotografiche che raccontano il paesaggio islandese secondo una prospettiva schiacciata “dall’alto verso il basso”, il set ideale per un videoclip dei Sigur Ròs.

Una collezione che rivela l’interesse del suo proprietario per gli artisti -molti dei quali diventatai suoi cari amici- nati a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 (stessa generazione a cui appartiene Andrews) e per le opere che intercettano caratteristiche quali la multimedialità, la pluralità, il disegno, il gioco, gli oggetti di ri-uso, i materiali poveri, la provocazione, l’aspetto dissacrante, la natura e la sua tutela, la comunicazione di massa e il consumismo e che qui ben si esprimono e si fondono nella casa e nella memoria a noi familiare di Pino Pascali. 


torna su