14.03.2011

LA DIGNA RABIA IN MOSTRA AL SALONE DEGLI AFFRESCHI

Enrica Dardes

TESTO

IMMAGINI

“Sono ormai diversi anni che ho un grande interesse per la storia dell’EZLN (Ejército Zapatista de Liberación Nacional, ndr) e per la figura del subcomandante Marcos; per questa ragione – ci spiega Simone Hardin, laureato in Scienze politiche e autore della mostra fotografica Digna Rabia  ho deciso di fare un viaggio in Messico per tastare con mano questa realtà che dall’altra parte dell’oceano ha sempre esercitato un così forte fascino su di me. Esistono forme di governo diverse da quelle occidentali, alternative. Lo studio e le dietrologie a cui il cosiddetto Occidente è abituato, in Messico (e non solo) non sono contemplate. Quando sono arrivato lì con un elenco infinito di domande da porre alla Giunta di buon governo, mi hanno risposto che non sono abituati alle teorizzazioni politiche e che l’unico modo per comprendere il loro operato è vivergli accanto. L’unico principio che ordina il fare nella comunità è il comandare obbedendo, in modo tale che ognuno sia al servizio della comunità. Arrivato lì ho scattato centinaia di foto alle diverse comunità del Chiapas (zona più a sud dello stato, ndr) e in seguito ho anche seguito un corso di formazione organizzato da Amnesty International sui diritti umani in Messico. Proprio in questa occasione una delle responsabili di Amnesty Italia, Carolina Valzoni, ha visto le mie foto durante una proiezione collettiva e mi ha proposto di organizzare questo evento. Sia per l’attualità della tematica trattata, sia per il patrocinio di Amnesty, l’Università di Bari si è subito resa disponibile a patrocinare l’iniziativa e a concedermi l’utilizzo del Salone degli Affreschi, presso l’ateneo barese”.
La mostra, inaugurata l’8 marzo, si terrà fino al 18 dello stesso mese e si articola nell’esposizione di quarantatre immagini e di un video riguardanti gli Indios del Chaiapas e il loro modus vivendi, sia sotto il profilo politico, che per quel che concerne i loro usi e costumi.
La proiezione video comprende il film sulla prima rivoluzione zapatista, ¡Que viva Mexico!, e due testimonianze: la prima di Rosy Rodriguez, responsabile del centro per i diritti umani di Fray Bartolomè de Las Casas, e la seconda di Gianni Proiettis, corrispondente dal Messico per il Manifesto che è anche il docente di Antropologia all’Università di San Cristòbal, arrestato pochissimi giorni fa dopo aver scritto un articolo di condanna del narcotraffico. Tutti e tre i video sono in bianco e nero così come ognuna delle fotografie che punteggiano l’allestimento.
“La scelta del bianco e nero – prosegue Hardin mentre procede con noi lungo il percorso mostra  – è assolutamente voluta. È una costante. Le immagini sono di reportage, non sono foto artistiche, perciò penso che questo stile richiami il filone tematico del documentario, oltre a esserci ovviamente anche una componente di gusto personale che lega questa scelta a un’amplificazione dell’impatto emotivo. Le immagini ritraggono gli Indios al lavoro, per lo più nei mercati dove si svolge la gran parte della giornata attiva delle comunità, perché lì emerge appieno la funzione antropologica della composizione etnografica della regione, proprio per la sua diversità etnica. I ceppi che abitano il Chiapas sono oltre trentasei e ognuno di essi ha delle sue specificità, oltre a una lingua autonoma; anche per questa ragione da secoli le comunità hanno difficoltà di comunicazione e la Giunta di buon governo ha il vincolo di dover conoscere lo spagnolo al fine di creare unità linguistica. Nonostante ciò i gruppi restano per lo più separati fra loro, sebbene a fronte di alcune lingue più diffuse di altre, e mi ha affascinato ritrarre proprio queste differenze. I soggetti sono molteplici, anche se si tratta per lo più di donne, anziani e bambini, queste ultime due categorie particolarmente importanti per gli Indios in quanto cardini della purezza nella visione del mondo”.
Procedendo lungo il percorso mostra si può notare che sotto ogni immagine c’è una frase, una favola maya o una poesia. Alcune di queste sono state riscritte dal subcomandante Marcos per farle comprendere ai bambini, come un genere mitopoietico, altre invece sono semplici riflessioni sulla situazione messicana. Non tutti i testi hanno un indirizzo politicizzato: spesso sono mere considerazioni che pongono l’uomo al centro del fare comunitario e che spiegano con parole semplici la logica sociale sottesa alla realtà in cui vivono (questi testi, insieme alle immagini, sono stati poi raccolte in volume curato dallo stesso autore della mostra, ndr).
Il connubio fra immagini e parole rende questa esposizione estremamente interessante, suggestiva e coinvolgente. La naturalezza con la quale queste istantanee ritraggono la spontaneità della popolazione messicana è a tratti disarmante e offre una finestra su un mondo socialmente più semplice, ma al contempo articolato e ricco di sfaccettature quasi dimenticate dal mondo europeo.
 


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