Andrea Nacciarriti

Luca Cerizza

TESTO

IMMAGINI

BIOGRAFIA

Qual è la tua definizione di "arte pubblica"?
 
L’arte pubblica è quella che genera il minor gap tra pubblico e cultura, che consente la relazione più stretta con il fruitore. Non ha una definizione univoca e questo lascia spazio a facili equivoci. L’arte pubblica dipende da una serie di relazioni condivise con il pubblico, rispetta il confronto, non necessita solo di straniamento e curiosa ammirazione, ma attraverso l’interazione e la collaborazione diretta si traduce in rapporto dialettico con l’ambiente sociale in cui si realizza. L’opera d’arte pubblica evade costantemente il luogo istituzionale in favore della realtà urbana e della vita sociale, si gestisce all’interno di questi nuovi significati, talvolta amplificando le contraddizioni e i conflitti del vivere urbano. La definizione di arte pubblica coincide pertanto non solo con la definizione dello statuto stesso dell’opera d’arte, ma anche con quella del concetto di pubblico. Si tratta di uno strumento critico estremamente flessibile capace di dialogare con la progettazione e la trasformazione naturale a cui il tessuto urbano è costantemente sottoposto. Il lavoro realizzato al Teatro Margherita, in concomitanza con la sua riapertura al pubblico dopo circa trent’anni di restauri, non è altro che una grande nuvola di fumo, prodotta da centoventi fumogeni accesi contemporaneamente e installati lungo tutto il perimetro esterno del teatro. L’evento ha avuto inizio alcuni minuti prima dell’inaugurazione e dell’apertura delle porte, senza nessun tipo di permesso, ai limiti della legalità. L’illusione prodotta dalla enorme nuvola di fumo, che si è poi allargata a invadere il centro di Bari, ricorda l’incendio che questo teatro, originariamente costruito in legno, subì nel 1911. L’operazione si colloca in uno dei momenti chiave dell’esistenza del Teatro Margherita, la sua riapertura, e attraverso lo spettro del fuoco evoca la rinascita della “Fenice”. Successivamente all’inaugurazione, con l’immagine dell’intervento è stata prodotta e stampata in migliaia di copie una “cartolina ricordo” che il pubblico può gratuitamente prendere all’entrata del Teatro Margherita.
 
Secondo te come può l'arte essere testimonianza del presente? E attraverso quali forme e modalità?
 
Non so se vi siano forme o modalità specifiche per testimoniare il pre- sente attraverso l’arte. Di sicuro è l’atteggiamento a definire l’appartenenza o meno di una ricerca all’interno di un certo clima. Il solo fatto di assorbire e analizzare globalmente gli aspetti sociali e culturali a cui siamo esposti quotidianamente, comporta una presa di coscienza e una possibile presa di posizione nei confronti della storia del presente. Fondamentale è viverlo, anche rifiutandone consapevolmente e criticamente i limiti e le trasformazioni, prendere parte al mutamento, porsi domande e permettersi di rispondere attraverso delle possibilità...
 
Cos'è un monumento, nella tua opinione?
 
Aldo Rossi definisce il monumento come “passato che sperimentiamo ancora”. Io credo che il termine “monumento” sia soltanto un modo per definire la centralità di un luogo e l’importanza che esso ha nel definire i rapporti con lo spazio sociale circostante.
 
Il tuo lavoro sembra concentrarsi sulle dinamiche sociali, politiche e umane, sulle valenze simboliche del luogo in cui la tua opera si va a collocare e che, allo stesso tempo, va ad analizzare. In questo senso il tuo intervento per il premio LUM ha un carattere più effimero e performativo di precedenti lavori. Puoi dirci qualcosa del suo rapporto con altri tuoi interventi site-specific?
 
La diversità sta prevalentemente nella durata, in senso letterale, dell’intervento: secondi, minuti, ore, giorni... Al di là di questo aspetto, tutti i miei lavori nascono dal rapporto diretto con il paesaggio, con le “sue dinamiche sociali, politiche e umane” e le sue “valenze simboliche”, come dici giustamente. Nel caso del mio intervento per il Premio Lum, c’è senz’altro una evidente componente performativa, ma è altrettanto vero che il carattere effimero è una costante: nella maggior parte dei casi i miei lavori non possono essere riadattati, possono vivere solo per uno spazio, per un determinato clima e in certi casi soltanto entro un determinato “momento storico”, che può avere la durata anche di pochi secondi... È una sorta di “improvvisazione metodologica”.
 
Riguardo al tuo lavoro di Bari, mi sembra che la tua sia stata una lunga fase di avvicinamento a questo progetto, anche grazie a una sempre maggiore familiarità col contesto. Mi chiedo come ti relazioni agli spazi in cui lavori, quale tipo di ricerche adotti, quali informazioni vai a cercare...
 
Il rapporto con il contesto non avviene sempre allo stesso modo, a Bari ci sono stati vari sopralluoghi e una serie di incidenti di percorso. In altre circostanze, il luogo non è stato analizzato in quanto sito dell’operazione ma in quanto partecipe di una condizione generale molto più ampia: come nel caso di Moschea (2006), ambientato a Genova e nato da un conflitto tra la comunità musulmana e l’amministrazione, che negava la realizzazione di un spazio di culto nonostante ci fosse una necessità oggettiva. E ancora, lo stadio Sinigaglia di Como è stato scelto come luogo per Connessione [traccia 5] (2005) in quanto soggetto di un acquerello trovato in un catalogo di Terragni. È in questi termini che parlo di improvvisazione: non c’è un metodo che delimiti la ricerca, non ci sono elementi che necessariamente ho il biso- gno di analizzare se non le circostanze ambientali che si verificano. Il campo della ricerca è pressoché infinito: è per questo motivo che considero ogni mio lavoro una possibilità.


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