02.12.2011

Arte e committenze, oltre le sponsorizzazioni

Vito Labarile

TESTO

IMMAGINI

Venerdì 2 dicembre si è svolto nel Teatro Margherita il finissage della II edizione del Premio Lum che ha affronta un problema di grande attualità: il finanziamento della cultura e l’avvio di un ciclo economico che parta dagli investimenti culturali.
C’è la crisi, le risorse per la cultura non ci sono, bisogna considerare altre priorità!
Invece, guardandoci intorno, anche da noi, nella nostra regione, si continuano a vedere tante risorse destinate alla cultura.
Ma il punto è: a quale cultura? Per lo più grandi eventi, progetti costosi e inutili, scientificamente deboli, fortemente autocelebrativi, che fanno audience e consenso, imitando i codici della tv generalista.
Per la cultura che prova a sperimentare, a lavorare sul futuro, che utilizza l’attuale rivoluzione tecnologica che con costi risibili rende possibile nuove produzioni di suoni, immagini, testi, insomma, nuovi modelli di creatività, socialità e qualità della vita, per questa cultura i soldi non ci sono quasi mai.
È il tema delle industrie culturali dove si sperimentano nuovi modelli gestionali che scontano un proficuo e innovativo rapporto pubblico-privato.
Oggi le imprese, il cui intervento è invocato, hanno cambiato i loro paradigmi, hanno maturato la convinzione che la cultura sia una risorsa per arricchire i loro asset imprenditoriali: competenze, valori, reputazione e quindi immagine e posizionamento industriale e commerciale.
Questo significa che le sponsorizzazioni, che sono sostanzialmente “erogazioni a fondo perduto”, sono del tutto superate nel paradigma delle imprese, a favore di un ruolo attivo di queste ultime e non gregario del pubblico: dalla sponsorship alla partnership.
Oggi quasi la metà di tutte le imprese attive in Italia investe in cultura con una massa di investimenti che vale dai due ai tre miliardi di euro l’anno, a fronte di una stima di investimenti pubblicitari di 16 miliardi di euro l’anno.
In generale emerge una forte disponibilità delle imprese a investire in cultura, a fronte di un settore pubblico non sempre in grado di accogliere a pieno questa disponibilità: il pubblico e il privato sono due mondi distanti per mancanza di partnership di qualità che si realizza attraverso progetti di ampio respiro territoriale.
La cultura è un moltiplicatore di innovazione, di idee, che incide sull’identità dei territori, e nell’economia globale l’attrattività parte dai territori.
Il pubblico, allora, deve sempre più concentrarsi su politiche culturali “captive” per partner privati riorganizzando l’intera macchina operativa, attraverso efficienza e qualità delle competenze, rinunciando a quella frammentarietà che alimenta un protagonismo effimero che è destinato a esaurirsi in tempi brevi.
Bisogna passare dai singoli progetti a una logica di programmi, articolati secondo una logica di “palinsesto” trasversale, che coinvolge tanti generi artistici: teatro, musica, danza, arti visive, che superi i confini tra mostre, musei e biblioteche, perché la cultura oggi è sempre più produzione interdisciplinare.
La crisi è in primo luogo di visione: prima vengono le idee, i progetti, e poi le risorse economiche.
L’obiettivo dunque, è la qualità della progettazione culturale, la strutturazione dei programmi in Istituzioni culturali dove si realizza una mediazione alta tra pubblico e privato, che fanno rete tra loro mettendo in campo visioni che aprono, allargano, inventano, con autonomia e indipendenza, per un pubblico di studiosi, visitatori, creativi, e non certo per singoli gruppi di formatori che si organizzano nei perimetri delle appartenenze politiche.


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